A Soddo la lezione più bella, abbiamo imparato cos’è la vita

Il Resto del Carlino del 31/03/2012
a cura dell’Ufficio Stampa del Comune di Pesaro

«A Soddo la lezione più bella, abbiamo imparato cos’è la vita”

L’emozionante viaggio di alcuni ragazzi del liceo Marconi in Etiopia, dove opera padre Marcello Signoretti

La Missione di don Marcello Signoretti in Etiopia sta diventando sempre più la missione dei pesaresi.

Un gruppo di tredici persone del liceo scientifico “Marconi” è da poco tornato da Soddo (viaggio realizzato in collaborazione con l’assessorato per la Cooperazione internazionale del comune di Pesaro), la località in cui opera il sacerdote di Candelara, che là ha costruito il “Villaggio dei ragazzi sorridenti”, dove hanno trovato rifugio tanti ragazzi e ragazze afflitti da fame e freddo (Soddo è a 2.000 metri di altitudine).

«E’ difficile trovare le parole giuste per trasmettere al meglio quello che abbiamo vissuto in quei 10 giorni a Soddo», spiega Francesca Mulazzani, studentessa, che è stata in Etiopia assieme agli insegnanti Marco Signoretti e Annarita Rincicotti, e ai compagni Margherita Valentini, Iris Kodra, Susanna Giacomini, Beatrice Costantini, Elisa Pascucci, Francesca De Scrilli, Francesco Benedetti, Roberto Rovelli, Veronica Balzan e a Sandra Mancini.

«L’insegnamento più grande che questo paese ci ha lasciato – spiega Francesca – si può sintetizzare nel saluto tradizionale: “sarò sarò”, che vuol dire ciao ciao.

L’energia che colmava la povertà delle strade e dei villaggi era quella delle relazioni tra le persone, della spontaneità che bambini e adulti avevano per noi e per i loro compaesani. La vita sociale come dimensione fondamentale dell’uomo e della sua quotidianità. Questa umanità sempre presente è stata la sorpresa più grande che abbiamo avuto e ciò che ci ha più fatto riflettere, in quanto ci ha resi consapevoli dell’alienazione che stiamo vivendo nella società occidentale».

Francesca ripercorre il viaggio: «Sbarcati ad Addis Abeba aspettavamo di sentirci noi i “diversi”, invece per la prima volta ho sentito l’appartenenza a qualcosa di più grande, più vero e universale: l’umanità intera e la natura, l’essere tutti uguali.

La realtà, nonostante i mille documentari, non finisce mai di stravolgere le aspettative. La povertà di queste popolazioni, accompagnata dalla speranza di miglioramento, permette di comprendere che non ci si può più porre di fronte a tale situazione col solito “cinismo occidentale” che molto spesso ci porta ad accettare tutto com’è o a giudicare l’opera dei missionari “colonizzatrice” solo perché si pensa che aiutando si possa in qualche modo snaturare queste persone».

«In dieci giorni – prosegue – anche tra noi ragazzi ci siamo messi molto in discussione su questo tema: la dignità umana e la sopravvivenza, cosa che non è scontata in quei luoghi, sono diritti dell’uomo. Questa conclusione è stata possibile anche grazie alla conoscenza dei progetti della missione di Abba Marcello, che col presupposto detto prima cerca di rendere autonomi questi popoli investendo sull’istruzione, sulla sanità e sulla gestione interna, costruendo scuole, ospedali, piccole fabbriche, come quella di mattoni per i ciechi».

L’Europa ha bisogno dell’Africa

L’Europa ha bisogno dell’Africa

Giorgia Nasoni (2011)

Tutto in Africa è diverso, il rapporto con il tempo, un’abitudine alla programmazione che manca.

Si parte per queste terre con la volontà di distaccarsi dal superfluo, dal fastidio per una società costruita per apparire. Ti ritrovi in immense piste di terra rossa, immerso in una natura lussureggiante, prorompente, dai profumi sconosciuti. Là assapori la polvere della siccità, la gioia indicibile del primo temporale che arriva dopo una lunga stagione secca.

La miseria senza fondo e il sorriso della gente. I bambini denutriti eppure gli alberi carichi di frutta. Ci si rende conto che lì la denutrizione comincia dai primi giorni di vita, quando, entrando nei tukul,capanne di fango, paglia e legno, noti donne gravide vivere nello stesso piccolo spazio in cui si trovano gli animali per evitare che di notte, le iene , li possano fare fuori.

Mi guardavo intorno ed ero sin dal primo momento accerchiata da persone con un sorriso stampato sul volto e mi chiedevo: “Come fanno ad essere così felici di vedermi quando nemmeno sanno chi sono?” Erano persone che vivevano pienamente il piacere dell’incontro, lasciando al domani le domande e i problemi.

Noi italiani che ne sappiamo dell’Africa? Solo fame, carestie, caldo…Lo vediamo come un mondo lontano dal nostro e, quando in sei ore di volo si giunge lì, crediamo siano l’anomalia, quando invece il nostro paese industrializzato è l’eccezione.

Vedendo le persone che dormono all’ombra degli alberi, le donne che con passo lento vanno a prendere l’acqua, i bambini scalzi con le loro divise sgargianti che salutano le jeep ai lati della strada, pensi che il tempo là scorra davvero diversamente dal nostro, che in Africa il futuro sia pensare ad arrivar in fondo alla giornata, alla successiva ci si penserà la mattina dopo.

Arrivi in un mondo di poverissimi con il sorriso, partendo da una civiltà di ricchi depressi, un paese di cupi, frettolosi, tremendamente soli e con pochi bambini accanto.

Forse è vero che non esiste alcun uomo sviluppato. Sono ricorrenti nei giornali notizie di uomini belli, ricchi, pieni di interessi e soldi che perdono la vita. Non esiste alcun uomo sviluppato, perché c’è in ogni uomo una fragilità che gli impedisce di realizzarsi pienamente.

Non ci sono persone sviluppate e non ci sono neppure paesi sviluppati. Non c’è il presunto sviluppato che dona al presunto povero. Non c’è al di sopra la mano che dona e al di sotto quella che riceve.

La società è malata ovunque. Non ci sono problemi solo in Africa, ma anche in Inghilterra, in Italia, in Francia. Anche l’Europa ha problemi economici. L’Europa ha bisogno dell’Africa.

L’Europa ha bisogno dell’Africa, per cui bisogna offrire all’Africa l’opportunità di venire in aiuto dell’Europa.

Ma il problema non sono i soldi. Il problema è altrove. E’ il problema umano di persone che si rispettano, si incontrano, si alzano in piedi e smettono di fare le guerre per impadronirsi dei soldi.

Grazie a quest’esperienza, mi sono riscoperta capace di condividere affetto senza parole…giorno e notte ero stuzzicata da domande tanto vere quanto pesanti…Perché io ricca ero lì? E cosa potevo offrire? Forse volevano solo soldi? Ma una volta dati soldi, sarebbero rimasti comunque dipendenti dal mondo occidentale.

Oggi guardiamo gli Africani come se ci portassero via qualcosa, quando invece siamo noi che ci siamo persi, noi che abbiamo perso il senso della vita.

Le mie previsioni erano corrette, è un orgasmo di sensi!

Il senso di un’avventura
Edoardo Amadori (2011)

Le mie previsioni erano corrette, è un orgasmo di sensi!

Certo, non è la stessa cosa che vederla da dietro uno schermo, ma la natura africana ti può arrivare anche a casa.

L’odore del mercato, le mani sudate dei bambini, i freddi goccioloni di pioggia equatoriale lungo il collo, quelli non li puoi far arrivare a casa! Il paesaggio da 100 e lode, così aspro, violento e dolce allo stesso tempo, seducente e mortale fa da sfondo alla miseria più nera. L’igiene è inesistente, la donna non ha diritti, non c’è elettricità se non in qualche lampione.

File di più di 400 taniche precedono i pochi pozzi, eppure questa gente sorride, corre, è felice! Mi sento spesso a disagio, a volte si chinano davanti a noi, ci baciano la mano, ci ringraziano. Sarei io a doverlo fare! Quello che ti lascia dentro questa gente non ha valore. Così li rialzi e abbracci degli sconosciuti con l’affetto che forse riserviamo giusto ai nostri amici più cari.

L’UOMO OCCIDENTALE è Grasso e Infelice
L’UOMO AFRICANO mangia poco ma Sorride

Un pezzo di Comune in Etiopia da Abbà Marcello

Sindaco, assessore Signoretti, docenti e studenti del liceo “Marconi” sono stati a Soddo per visionare la missione di don Marcello Signoretti.

PESARO – Togliere i bimbi dalla strada, portare l’acqua dove non c’è, gettare semi di speranza nella vita dei più poveri e dei più sfortunati. In Etiopia è questa la sfida quotidiana di don Marcello Signoretti. A Soddo, città di 100 mila anime della ragione del Wolayta, tutto parla del missionario pesarese. Scuole, strade, presidi sanitari, centri di accoglienza per i ragazzi. C’è molto di lui in quello che è stato costruito in quasi 15 anni di solidarietà. E c’è un pezzo di Pesaro anche nei progetti che “Abbà Marcello”, così lo chiamano i fedeli che riempiono la sua parrocchia, sta cercando di portare avanti in Etiopia. In parte grazie all’entusiasmo dei volontari che lavorano al suo fianco, in parte grazie alle donazioni che la sua missione riesce a raccogliere. L’ultimo contributo arriva proprio dai ragazzi e docenti del liceo scientifico Marconi, che sono riusciti a mettere insieme, attraverso una raccolta fondi, circa 7 mila euro. E grazie al sostegno dell’Amministrazione comunale, che ha coperto parte delle spese del viaggio fino a Soddo, nove di questi studenti, insieme al sindaco Luca Ceriscioli, all’assessore alla Cooperazione internazionale Marco Signoretti e altri quattro residenti, sono riusciti a vedere con i propri occhi i frutti del lavoro di don Marcello. Dal Ligaba School, l’istituto che in cui circa 3 mila etiopi hanno la possibilità di studiare, al centro di accoglienza per ragazzi di strada “Smiling children town”.

Fonte: articolo di Chiara Boiani pubbicato su “Il Messaggero-Pesaro” del 25/03/2011

Siamo tutti così uguali, non è retorica, è la consapevolezza di essere parte integrante di un molteplice infinito.

Ai miei amici

Elisa Rossini (2009)

Si parlava dell’esperienza vissuta, delle conclusioni tratte. Ciascuno faceva i conti con la propria coscienza nel silenzio della sala. Chi mi conosce sa che ho la lacrima facile: ma in quell’ora intrisa di battaglie interiori, senza vincitori, né vinti, era difficile persino piangere.

Ci fu detto che sarebbe stato totalmente inutile tentare di raccontare, o meglio, di raccontarci agli altri, una volta tornati a casa. Nessuno avrebbe mai capito veramente.

Io voglio raccontarmi, voglio che le mie parole vi guidino altrove, laggiù a respirare l’aria, aura leggera, invisibile, che ora e per sempre aleggerà attorno a me.

Parlerò, e se uno di voi capirà anche solo un centesimo delle cose che dico, allora saprò di aver apportato un soffio caldo alla gelida bora invernale; per quanto debole, riscalda il vento.

Ed io, soffierò ancora più forte.

Ora provate a immaginarvi seduti su un muretto di pietra, i piedi nel vuoto. Davanti a voi una distesa di terra rossa, dei ragazzi corrono, inseguono un pallone. Ad ogni passo la sabbia si solleva, si formano nell’aria nuvole rosse che salgono, vengono trasportate dal vento…improvvisamente giunge alle vostre narici, agli occhi, brucia la gola.

Chiudete gli occhi e cercate di scacciare con le dita quei granelli; nel farlo vi voltate, scuotete la testa.

Allora vi accorgerete di non essere soli. Siete osservati. Tante paia infinite di occhi neri e lucidi studiano ogni centimetro del vostro corpo. Guardate meglio. Sono bambini sporchi,

qualcuno ha i vestiti strappati, qualcuno troppo grandi su un corpicino così piccolo, altri troppo corti su gambe così lunghe. E voi, siete evidentemente troppo bianchi.

I ragazzi nel campo continuano a passarsi il pallone sotto il sole cocente. Per errore di uno di loro (o per sua volontà?), la palla finisce fra le vostre mani. Vi trovate di fronte ad una scelta. Il tempo incalza, il cuore batte il secondo: riconsegnare la palla al mittente o tenerla stretta e scendere in campo? Io sono scesa. Ho corso con loro fra la polvere, tanto a lungo da confondermi con essa.

Correte con me, ora. Non importa quanto siate alti, belli, forti. In mezzo a loro cessate all’istante di essere individui: perdete la vostra singolarità, entrate a far parte di un’unica natura immobile e perfetta. Una volta dentro, non ne uscite più.

L’uomo riacquista un nome, una dignità; ritrova la sua identità. Continuate a giocare. Si prendono tutto, corpo e anima; a loro volta vi danno tutto. Non pretendono nulla. Credetemi, non si aspettano niente: sono più spaventati di voi.

Il tempo passa e la polvere ha rivestito prepotentemente le vostre figure. Siete irriconoscibili, celate segreti e passioni dietro quello scudo di incerta sfrontatezza, ostentazione di armonia, sicurezza. Finalmente siete dei loro: tutti egualmente sporchi, accalorati, affamati, assetati. Da questo momento qualsiasi abito indossiate o qualunque sia il colore dei vostri capelli, voi sarete considerati per sempre amici, fratelli.

Ho parlato a lungo con questi ragazzi. Mi hanno raccontato la storia di un sole che prosciuga le sorgenti, di un vento che inaridisce la terra; la storia di una pioggia che si abbatte sui raccolti. Narrato i pellegrinaggi di un popolo che cammina, eccome se cammina.

Dio solo sa i chilometri che percorre. Quante cose ho visto attraverso quegli occhi di adulti, in corpi da bambini: le inenarrabili violenze nelle carceri, gli anni trascorsi ai bordi delle strade nella più nera miseria, con la sola certezza della fedeltà di chi è come loro, con la convinzione di valere quanto un tappo di bottiglia in mezzo all’oceano; le piaghe ai piedi nudi, i pidocchi, l’olezzo della povertà e degli escrementi addosso, attorno, ovunque.

Cosa devono aver visto quegli occhi per parlare tanto, senza che la bocca articolasse parola!

Liberatevi di tutto quello che sapete, o che credete di sapere. Vi ritroverete in ogni caso a dover riscrivere un papiro di centinaia di anni di disilluse ambizioni.

Concludo questa lettera con l’immagine di un cielo così terso da permettere alla luce delle stelle di fendere l’atmosfera e posarsi come un manto su di voi, a tingere d’argento quelle notti di sogni, d’amore.

Siamo tutti così uguali, non è retorica, è la consapevolezza di essere parte integrante di un molteplice infinito. Non divino, non umano.

Arde ad ogni passo la terra rossa sotto i miei piedi.

Con affetto

Elisa