Non potremmo vivere in un mondo in cui siamo tutti uguali con stessi diritti e libertà?

L’uomo si è trasformato in egoista e solitario. Da alcuni anni a questa parte l’essere umano non fa altro che ostinarsi a volere sempre di più, non accontentandosi di quello che possiede. Una delle ragioni per cui ho voluto intraprendere questo viaggio è stata appunto quella di riscoprire le piccole cose, cui ormai sembrano date per scontate. Ovviamente tutti noi tendiamo a credere di essere diversi, di saper apprezzare tutto ciò che ci circonda in modo sincero. Se però cerchiamo di analizzare un momento, il modo in cui viviamo le nostre giornate ci accorgeremo che non è così. Ho riscoperto grazie a questa esperienza il concetto di fratellanza, di non pensare solo a me stessa come molto spesso si fa all’ordine del giorno. Ci viene insegnato di guardare a noi stessi, al nostro futuro… Mi chiedo però dove è finita l’importanza dell’altro? Stiamo perdendo la capacità di credere nel prossimo, in un’idea, di vivere un’utopia o un qualsiasi sentimento pervasivo del nostro essere. Basta vedere i talk show, ascoltare i discorsi dei politici o i discorsi in una coda ad un ufficio pubblico o ancora in una sala d’aspetto di un medico. Siamo tutti tesi ad affermare i nostri presunti diritti, anche contrastando quelli altrui. Sono venuta a conoscenza di una realtà che mette al primo posto l’altro, cosa che mi ha colpito nel profondo. Parlando con i bambini, vedendo i comportamenti delle persone locali, mi sono sentita come a casa. Ciò mi ha scioccato particolarmente perché nonostante ho visitato tanti luoghi in giro per il mondo in precedenza, non mi era mai capitato legarmi così in fretta con persone sconosciute o quasi. Ricevemmo un’accoglienza più che calorosa ed amorevole che non mi sarei mai aspettata, venendo da una società chiusa all’altro. Siamo abituati a puntare il dito, conoscendo solo l’esteriorità di quella persona non conoscendo il loro passato, quello che stanno passando e la loro personalità. Siamo una società estremamente superficiale e questo è dovuto anche all’uso dei Social. Tutti possono piacere e quindi tutti possono scegliere tra una cerchia di persone molto grande che può essere interessante, ma più probabilmente superficiale. Proprio per questo siamo talmente abituati a persone così superflue, che quando abbiamo davanti a noi persone oneste, ci chiediamo dove sia la fregatura. Durante questi quattordici giorni di permanenza, ho vissuto tantissime esperienze contraddittorie: dai bambini che quando andavamo in giro con il nostro autobus, vedendoci dai finestrini che avevamo la pelle bianca, erano come increduli, portando le mani alla bocca, mettendosi a correre, urlare dalla gioia, salutandoci con dei sorrisi a trentadue denti. Ogni volta tutto ciò mi riempiva il cuore ed è proprio per questo infatti, che la maggior parte delle ore che passavamo nel bus per spostarci da un luogo all’altro, io ero costantemente seduta dalla parte del finestrino ad ammirare quei paesaggi sconfinati e a salutare chiunque vedevo lì fuori. L’africa però non è solo un continente di persone felici che apprezzano ogni minimo gesto e minima cosa che tu fai per loro; ma è anche, soprattutto una delle parti più povere delle terra, in cui le persone muoiono di fame o di sete ogni giorno. Ho visto bambini che piangevano davanti a me perché non avevano nulla da mangiare, quando molte volte capita che noi occidentali buttiamo via il cibo quando ne ordiniamo troppo al ristorante o se ci cade per terra per qualche secondo. Al contrario, loro per mangiare devono frugare nella spazzatura per non morire di fame e penso che questo ci dovrebbe fare molto riflettere di quanto noi siamo fortunati a vivere in questa parte del mondo. Me lo sono chiesta un’infinità di volte… Perché io sono nata qui? Perché deve esistere una realtà così povera quando ci sono persone estremamente ricche che ogni giorno guadagnano tantissimi soldi? Non potremmo vivere in un mondo in cui siamo tutti uguali con stessi diritti e libertà? Forse tutto ciò sarà possibile tra tanti anni perché infondo un mondo che ancora fa la guerra per conquistare delle terre, facendo morire migliaia di persone all’ordine del giorno per volere di “una persona importante” non è pronto ad avere tutti gli abitanti di questo mondo allo stesso piano.

Alice Pagnoni 

24 Febbraio 2023

L’energia che mi hanno trasmesso è unica

Da quando sono tornata tutti mi chiedono “come è andata?”.

Subito mi trovo in difficoltà e vengo inondata da un numero sconcertante di pensieri. Questo viaggio è uno di quelli che se non vivi a mio parere è inspiegabile. Non vi sono abbastanza parole per potermi esprimere. Le emozioni che ho provato sono così piene e pure che tuttora, settimane dopo non riesco a pensare ad altro. Ho scoperto come ci si sente ad essere pienamente e puramente felici, come il sorriso sia un linguaggio universale, come non abbiano niente ma allo stesso tempo hanno tanto, come il loro sguardo intenso nonostante siano giovani sia più vissuto del nostro. Ho scoperto cosa sia una vera e propria accoglienza ed essere circondata da persone che anche se non conosci da molto tempo arrivi a considerare come fratelli. Quando sono partita avevo già aspettative molto alte ma questa esperienza l’ha sorpassata di gran lunga. L’unica mia preoccupazione era quella di non sentirmi a mio agio, soprattutto con i ragazzi del centro, pensavo di non riuscire a parlare e trovarmi bene con loro. Ma da subito questo muro che mi ero imposta è stato demolito. L’energia che hanno e che mi hanno trasmesso è unica. Ho imparato quanto siamo veramente fortunati, quanto tanto abbiamo, quasi troppo e che spesso non apprezziamo. Ho ricevuto talmente tanto che ancora sto rielaborando i pensieri. La mia giornata preferita è stata quella in cui siamo saliti sul monte, il loro modo di trascinarti, prenderti lo zaino per facilitare la camminata, prenderti la mano, stringendola forte; sono cose che non scorderò mai. Una delle cose che rimarrà impressa nella mia mente sono i saluti, i sorrisi delle persone che non conosci ma che ti danno il benvenuto a braccia aperte come se fossi un loro amico. L’ultima serata è stato un momento magico che rimarrà scolpito dentro me per sempre, i balli ed i canti gioiosi che hanno concluso questa esperienza erano per accompagnati dalla forte commozione e tristezza provata nel salutare tutti i bambini, anche loro in lacrime. É stata una esperienza che non dimenticherò mai e se mai sarò così fortunata da poter tornare non vedo l’ora di abbracciare e stringere i miei nuovi fratelli.

Sara Rossini, viaggio in Etiopia nel mese di Novembre 2022

Il mio cuore però l’ho lasciato lì.

Prima di questa esperienza viaggiare per me era scoprire nuovi luoghi, staccare dalla routine quotidiana e incontrare culture diverse dalla mia. Mai però ero tornata da un viaggio con la sensazione di aver esplorato dentro di me e non nei diversissimi posti che ho visto e che mi hanno continuamente stupito. Sono rientrata in Italia con la testa piena di riflessioni, piena di confusione e con la sensazione di essere un po’ più leggera e felice. Abituata a visitare musei e città, mi sono ritrovata a viaggiare per persone, storie e soprattutto sorrisi. Amo sorridere da sempre, e spesso per questo motivo vengo considerata con la testa fra le nuvole o ingenua, in realtà ritengo semplicemente che un giorno senza sorriso sia un giorno perso e in Etiopia mi sono sentita a casa. Mi hanno dato la conferma che non è necessario un motivo per cui essere felici, che quando la vita non va a gonfie vele, non c’è ragione di abbattersi ma anzi è necessario dare sempre il meglio di sé. Abbiamo visto molte persone povere, uomini che dormono in capanne assieme ai loro animali, che prendono l’acqua dalle fontane, che vivono con il poco che hanno e lo fanno serenamente. Ogni sorriso, ogni saluto non era sprecato e anzi ti appagava completamente. La loro idea di comunità è qualcosa di concreto, aiutarsi e vivere insieme, ho percepito grande solidarietà e l’accoglienza che ci hanno dato è stata molto più calda del sole sopra le nostre teste. È stato un viaggio travolgente e emozionante, ogni giorno avevo la sensazione di avventurarmi in qualcosa che non mi aspettavo ma che già sapevo mi avrebbe lasciato senza parole, ed è proprio così che mi sento anche ora, dentro di me piena di odori, rumori, risate che però fatico a descrivere. Sono tornata spaesata, confusa ma allo stesso tempo molto motivata negli obbiettivi della mia vita, ho sentito una spinta, la stessa che i bambini mi davano mentre camminavamo in salita per aiutarmi, ma questa volta dentro di me. È stato un viaggio capace di disordinarmi la vita, mettere tutto in discussione, chiedermi se quello che abbiamo serve a qualcosa, e se serve perché molti non sono felici nonostante questo? I gesti dei bambini, la condivisione che li unisce e la gentilezza che riversano in ogni momento ti mettono nella posizione di cambiare passo, smettere di camminare ma iniziare a correre come fanno loro, verso il proprio sogno che conservano con cura e che mi hanno descritto con occhi sognanti. L’impegno che mettono nello studiare, la loro voglia di imparare, e alla domanda “quale materia ti piace di più?” la risposta di un bambino “tutte le materie mi piacciono, perché tute le materie meritano la mia attenzione e il mio interesse allo stesso modo” mi hanno fatto capire quanto ancora ho da imparare dalla vita e dalle persone. Ho cercato di indagare la loro storia, parlare della loro cultura, confrontare le differenze e cercare le cose che ci accomunano, perché per quanto veniamo da paesi distanti per le nostre usanze e origini, siamo in qualsiasi caso tutti uomini. E alla fatidica domanda “cosa ti sei portata a casa?”, penso di aver riportato a Pesaro molto di più di quello che ho lasciato lì. I milioni di sorrisi che mi hanno regalato, tutti i volti che ho incontrato e che nascondono una storia, le persone che nonostante non mi conoscessero mi hanno fatto entrare nella loro vita, mi porto a casa l’accoglienza, i legami che in due settimane ho intessuto, la loro generosità e la loro idea di comunità unita e solidale. Mi porto a casa il senso di condivisione, non hanno il niente eppure lo condivideranno sempre con te. Mi porto a casa le mani che mi sfiorano mentre cammino e che si intrecciano con le mie. Mi porto a casa i colori della terra rossa dell’Etiopia, le stelle che splendono nella notte e tutti gli animali osservati con curiosità. Mi porto a casa la vita che loro hanno, e di cui ogni giorno sono grati. Mi porto a casa il loro non lamentarsi mai e il loro bastarsi sempre. Il mio cuore però l’ho lasciato lì.

Alice Pagnini, viaggio in Etiopia nel mese di Novembre 2022

Storia di Natanael Filipos

Poco più che bambino Natanael Filipos, dopo la morte di sua madre, aveva continuato a vivere con il padre, che poco tempo dopo, si era risposato con un’altra donna e da quel momento aveva capito che non poteva continuare a vivere sotto il loro stesso tetto, perché era venuto a mancare l’amore, l’affetto e nessuno dei due si curavano più di lui neanche per le cose di prima necessità.

Per cui era stato costretto a lasciare la casa paterna e vivere di espedienti nelle strade della città di Soddo e con tante difficoltà e pericoli.

Per sopravvivere Filipos, aveva imparato a rubare ed era diventato con il tempo un ladro esperto, con l’istinto di rubare qualsiasi cosa vedeva e che poteva servire a soddisfare le sue esigenze esistenziali e di sopravvivenza, spostandosi anche in altre città della Regione del Wolayta, diventando quasi un professionista del furto, anche se adolescente ma con un impulso irrefrenabile ad impossessarsi di tutto ciò che gli creava un guadagno economico.

Ma, nel frattempo attraverso alcuni suoi coetanei veniva a conoscenza dell’esistenza dello “Smiling Children Center” e quindi decideva di chiedere ad Abba Marcello di intraprendere un percorso scolastico, pur con ancora molte riserve mentali. Infatti, aveva continuato a rubare anche all’interno del Centro rendendosi protagonista di furti di magliette, pantaloni, scarpe che di nascosto le rivendeva al mercato cittadino, a suoi coetanei che si potevano permettere di acquistarle per poi a loro volta rivenderle a prezzo maggiorato.

Con il trascorrere del tempo e con i suggerimenti, consigli e con la stima di tanti altri bambini e dei superiori del centro, aveva cercato di limitarsi a rubare. Finché, si era reso conto che comportandosi in quel modo non faceva altro che dare problemi e dispiaceri a tutti. Con il passare dei giorni Filipos, aveva avuto il coraggio di smettere di rubare, pur con tanta fatica, ma felice di non dare più dispiacere ai sui compagni ed Abba Marcello.

A Marzo del 2020 era stato costretto, come tutti i ragazzi del Centro, a ritornare a casa (causa pandemia da Covid-19) non con la nuova famiglia di suo padre, ma ospite di suo fratello maggiore.

Nel frattempo ha incontrato i suoi vecchi amici di avventure ladresche, passando con loro anche diverso tempo. Ma pur avendo avuto molte proposte per ritornare a rubare insieme, non le ha mai accettate, anzi si è prodigato per convincerli a desistere ed a cambiare vita. Alcuni di loro hanno accettato i suoi consigli, prendendo coscienza che così facendo procuravano dispiaceri a gente onesta. Altri suoi amici invece si sono dissociati, dicendogli che non lo riconoscevano più e che lo ritenevano un debole e la vergogna della loro compagnia.

Quando è ritornato al Centro, nel salutarli ha ribadito a loro che lui vuole una vita onesta e un futuro dignitoso e che non è sua intenzione di non far vergognare suo padre di avergli dato la vita.

Dopo alcuni mesi dal suo ritorno al Centro lo si nota felice e molto volenteroso nello studio e con l’aspirazione di diventare un dottore. Più volte ha ringraziato Abba Marcello per questa opportunità che gli ha dato e per avergli fatto capire quanto sia bello vivere onestamente.

Incontrare per cambiare

Questo viaggio lo abbiamo voluto, perché siamo persone che hanno voglia di scoprire, per curiosità e soprattutto per necessità, quello che relazioni in un mondo molto diverso da nostro riescono a trasmetterci con il desiderio di lasciarci trasformare in “umani” migliori.

Ciò premesso, il classico “vado per fare esperienza” non la racconta tutta su quello che ci ha spinto a fare un viaggio così speciale. E la straordinarietà del viaggio non é certo negli aspetti materiali: a Soddo siamo stati nutriti, accuditi, accolti come ospiti d’onore per 18 giorni.

Il viaggio per me, Cristiano di Santa Croce, è nato dalla determinazione di alcune ragazze della nostra comunità di andare alla scoperta “frontale” di mondi e di incontri mai direttamente sperimentati. Le stesse, mi hanno chiesto di aiutarle ad organizzare una esperienza in Africa e dopo qualche giorno, mi viene segnalato che Marco Signoretti stava proponendo una esperienza estiva di volontariato per l’Etiopia e precisamente a Soddo che era qualcosa di diverso rispetto alle conosciute e meritevoli esperienze che lo stesso Professore realizza da anni con gli studenti delle high schools pesaresi. Essendo coinvolto anche nell’attività missionaria della Diocesi, conoscevo per fama il fratello Marcello e il suo apostolato in terra Etiope. Questa era una occasione unica e privilegiata per conoscere questo uomo di Dio; è stato inoltre un onore essere chiamati da lui a collaborare.

Dovevamo vivere insieme ai ragazzi di strada che hanno intrapreso un percorso formativo e di studio presso il Centro Smiling Children Town” accompagnandoli durante una parte delle loro vacanze, soprattutto con una attività didattica che da una parte fosse utile, dall’altra fosse svolta in termini leggeri, senza esami o voti, con risvolti possibilmente divertenti e ricreativi. Era richiesto poi di organizzare anche il resto del loro tempo proponendo nuovi giochi e forme di aggregazione per estendere e qualificare il tempo dell’incontro che ci avrebbe visti presenti dall’11 al 28 Agosto 2019.

Senza conoscere molto delle composizioni per età e dei livelli scolastici che avremmo incontrato, abbiamo sviluppato le basi per due corsi, uno di informatica e uno di inglese, creando anche degli “spazi di fuga” per poter creare qualcosa di diverso alla luce delle necessità che avremmo trovato in loco. Abbiamo poi messo insieme le esperienze dei giovani partecipanti al viaggio sulle attività creative e sui giochi di gruppo, raccolto offerte tra amici, parenti e colleghi di lavoro, procurato 8 computer portatili, un proiettore, un paio di valigie di cancelleria e siamo partiti.

Arrivati al Centro “Smiling Children Town” di Soddo, l’assalto dei 130 bambini è stato immediato, non c’è stato spazio per le presentazioni, dopo mezz’ora eravamo chi sui campi da calcio, chi su quello di pallavolo, chi ballava e chi giocava a dama, con scacchiera Etiope (disegnata su cartone) pedine Etiopi (tappi di bottiglia colorati) e regole Etiopi.

Dal giorno successivo, previa riunione serale con il Direttore Wondesen e Abbà Marcello, i ragazzi sono stati divisi in 3 sottogruppi, per fasce di età, capacità, necessità, inclinazioni e ci sono stati affidati per i corsi. Diciamo subito che allo “Smiling Children Town” non esistono problemi di disciplina, ma regna l’attenzione, la solidarietà piena coi compagni in difficoltà, la voglia di imparare, l’apprezzamento per il lavoro dei volontari, continuamente ringraziati per la loro presenza e attenzione alle loro necessità. Il clima è quasi irreale per quanto sereno.

Fin dal primo momento le preoccupazioni si sono sciolte, ci siamo resi conto che ci rendevamo utili, che in tutti c’era voglia di essere li in quel momento, ognuno nei propri ruoli, c’era insomma in tutti il desiderio e la felicità dell’incontro. Fratelli piccoli e grandi che non si sono scelti ma che la vita ha fatto incontrare. E allora da li in avanti è stato un susseguirsi di giorni pieni, intensi, belli e per questo passati in un attimo, giorni di lavoro e di gioco, di confronto e di incontro.

I bambini che abbiamo incontrato si hanno dato emozioni, ti prendono talmente tanto che in un contesto del genere possono anche distrarti da una profonda riflessione sul resto, in particolare sugli altri eroi (missionari in Africa), cioè, quelli che le scelte le hanno fatte …. pesanti, coraggiose e rivelatrici della loro gioia di vivere; quelli che si sono messi in gioco da adulti responsabili, per i bambini e per tutti i bisognosi che incontrano. Quelli che mi mettono in crisi con me stesso e di fronte alla mia scarsa capacità di azione.

Se Abbà Marcello fosse solo il personaggio di una storia, potrebbe già essere il personaggio di un libro di successo, una vita di sconvolgimenti profondi e di “eccomi” in risposta alle chiamate (plurale) di Dio. Ma il problema per me è che Abbà Marcello esiste davvero, incontra la “sua gente” come lui è solito chiamarla, senza condizioni, si lascia coinvolgere e non dimentica, ne la gente si dimentica di lui.

E’ necessario inoltre purificare il proprio spirito di servizio sull’esempio di persone come Abba Marcello, rifuggendo dalla tentazione istintiva di cercare un risultato di pubblica riconoscenza.

Ad Addis Abeba, nel parcheggio dell’aeroporto, esclusivamente preoccupato di riprendere il controllo delle valigie, essendoci qualche soggetto sospetto nei paraggi, sento una voce: “Ciao Luigi, sono proprio contento di averti conosciuto ……”. “Grazie, Abbà Marcello per avermi voluto bene per quello che sono, spero di ritornare ad imparare ancora qualcosa.”.  Luigi Gabrielli

Storia di Abel Ansabo

Questo giovane etiope proviene dal villaggio di Gasubba nella Regione del Wolayta e la sua famiglia molto povera e contadina è composta da sei figli.

Abel Ansabo è un ragazzo con una grande voglia di riscattarsi dopo un’infanzia piena di stenti e sofferenze. Fuggito dal suo villaggio ha vissuto per le strade di Soddo, dormendo in luoghi di fortuna e per terra e subendo ogni tipo di intemperie climatiche, prima di iniziare il percorso di inserimento al Centro “Smiling Children Town”, costruito da Abba Marcello ed il successivo percorso scolastico. Il suo sogno è quello di laurearsi in ingegneria e sicuramente ci riuscirà perché si impegna moltissimo a scuola e con un notevole profitto.

Quello che soprattutto ha colpito Abba Marcello di Abel Ansabo, sta nel fatto che gli ha confessato che vuole diventare un bravo ingegnere, non per fare soldi, ma per costruire altri centri come questo, in cui vive attualmente il suo percorso di vita scolastica, in altre città dell’Etiopia per dare la possibilità a tantissimi ragazzi del suo paese di lasciare la vita di strada e dare loro le stesse possibilità di crescita che ha avuto lui, togliendoli dalla sofferenza della vita di strada.

Abel Ansabo, è un ragazzo molto educato, sensibile ed altruista: Vederlo andare a scuola con orgoglio e fierezza, fa intuire con quanta decisione vuole raggiungere il suo sogno.

Attualmente sta frequentando la decima classe e gli mancano due anni di scuola preparatoria per poi iscriversi all’università di Soddo.

 

Storia di Abel Alena

Abel Alena proviene da una famiglia di contadini, composta da undici figli e con pochi beni a disposizione per sbarcare il lunario. Prima di inserirsi nel Centro “Smiling Children Town” di Soddo ha vissuto in strada per circa due anni. Ora sta frequentando la decima classe e gli mancano ancora due anni di scuola preparatoria per poi raggiungere l’università.

Credeva di trovare fuori del suo villaggio miglior vita, ma come quasi tutti i bambini, si era imbattuto nella dura realtà della vita di strada, piena di sacrifici e di sofferenze, per procurarsi il cibo, un misero letto e un lavoro.

Al “Smiling Children Town”, la sua vita è completamente cambiata, vive con orgoglio la sua nuova avventura da studente e quando si reca a scuola con la divisa gli brillano gli occhi, così ben vestito, con scarpe dignitose e soprattutto ha un alto profitto scolastico ed è attualmente terzo in graduatoria in una classe di sessanta ragazzi.

Abel Alena, viene da una famiglia di ortodossi, frequenta regolarmente la sua chiesa, servendo il pastore, da piccolo diacono. Attualmente sta anche studiando per poter diventare a sua volta un Pastore della sua chiesa Ortodossa e si sta attivando moltissimo per imparare canto, musica, e preghiere ortodosse.

Mostra spesso i suoi brillanti voti di scuola direttamente ad Abba Marcello, tutto festante e radioso, facendogli capire le sue reali intenzioni di diventare un bravo Pastore ortodosso.

Egli è un ragazzo molto educato, apprende subito e mette in pratica i suggerimenti ricevuti quotidianamente dagli psicologi e dai superiori del centro, inoltre è molto sensibile alle necessità quotidiane degli altri bambini e dei poveri, che lui vede sostare ogni giorno davanti alle chiese Ortodosse.

A volte notando gravi casi di difficoltà di alcuni poveri, li presenta direttamente ad Abba Marcello, mostrando una sensibilità non comune per un adolescente. Queste sue doti umane sono considerate da Abba Marcello un vanto e un orgoglio per il Centro “Smiling Children Town”.

 

Storia di Zakarias Branu

Zakarias Branu, proviene dal villaggio di Bombe, vicino alla cittadina di Araka ubicata nella Regione del Wolayta da una famiglia composta da dieci figli e prima di inserirsi nel Centro “Smiling Children Town” ha vissuto in strada per circa tre anni ed ora sta frequentando la dodicesima classe ed il prossimo anno verrà inserito all’università di Soddo. In strada ha sofferto moltissimo ed ha sempre cercato di sopravvivere con lavoretti di fortuna, ma a stento riusciva a mantenersi. Il suo desiderio è quello di laurearsi in medicina e diventare un dottore. Ha molta volontà e sicuramente ci riuscirà, perché vuole a tutti i costi riscattarsi per aiutare anche la sua famiglia.

Quello che ha soprattutto colpito Abba Marcello ed il direttore del Centro Wondewosen Assefa, sono state le sue testuali parole: voglio diventare dottore, non per fare soldi, ma per andare nei villaggi dove la gente soffre e non ha soldi per curarsi, io li curerò gratuitamente, perché voglio fare del bene al mio popolo per la maggioranza colpito dalla miseria. In Etiopia non entri negli Ospedali se non hai soldi per curarti, avere un posto letto, sottoporsi ad operazioni e acquistare medicine; ma io voglio aiutare la mia gente a curarsi e vivere con dignità. Nell’ascoltarlo si capisce che queste sue parole sono frutto di ragionamenti di un ragazzo ormai maturo, ma soprattutto provenienti dal suo cuore.

Quando un adolescente è così determinato sicuramente realizzerà i suoi sogni.

Storia di Atnafu Bekele

Atnafu Bekeleè un ragazzo “ speciale” che viene dal villaggio di Wacciga nella Regione del Wolayta (Etiopia), da una famiglia di agricoltori  molto povera,  quasi al limite della sopravvivenza. Nella loro capanna costruita con legni, fango e con il tetto di paglia non c’è quasi nulla. I suoi genitori non posseggono neanche gli animali (buoi, pecore e galline) che solitamente servono per fornire il latte, uova e carne.

I suoi genitori e fratelli dormono in terra vestiti (se così si possono chiamare i cenci che indossano) sopra una stuoia e con una sola coperta.

Bekele da bambino si era allontanato da casa nel tentativo di trovare una sua strada per il suo futuro, come fanno tantissimi bambini che fuggono dalla povertà dei villaggi. Voleva andare in città perché altri ragazzi gli avevano detto che li poteva trovare quello che si desidera. Ma per circa due anni aveva sofferto molto, perché era costretto a vivere di espedienti, in particolare: di elemosina, qualche furtarello e un lavoro saltuario come facchino al mercato. Poi aveva conosciuto alcuni ragazzi dello “Smiling Children Town” a Soddo e su loro invito aveva raggiunto il Centro chiedendo di essere aiutato.

Per due anni ha seguito il ciclo educativo, frequentando la scuola con ottimi risultati e come solitamente fanno quasi tutti i ragazzi del Centro nel periodo delle vacanze scolastiche ritornava al suo villaggio per dare una mano ai genitori nel lavoro del loro campi.

Finito il periodo delle vacanze scolastiche (se così si possono chiamare), ritornato al Centro “ Smiling Children Town” si presenta dal direttore sig. Wondewosen Assefa, e sedutosi nel suo ufficio, inizia a piangere e tra un singhiozzo e l’altro gli dice: “Sono stato a casa con i miei genitori, con mio padre e mia madre ed i miei fratelli più piccoli e ho visto la loro situazione, la vita che conducono, quello che hanno da mangiare, dove dormono, dove passano le giornate,  il faticoso lavoro dei campi,  ho visto le loro mani callose,  il corpo magrissimo di mio pare quando insieme facevamo il bagno al fiume, ho visto i seni seccati  di mia madre, ho visto i miei fratelli più piccoli di me vestiti di niente. Io, sono qui in città, al centro e ho tanto: materasso, coperte, lenzuola, vestiti, scarpe, mangio tre volte al giorno, sono curato, vado a scuola, praticamente vivo una vita comoda e ho la possibilità di avere un futuro davanti.

Ma pensare continuamente alle condizioni di vita della mia famiglia mi tormenta ed ho deciso che non posso più stare qui, ma il mio dovere è di tornare in famiglia e aiutare mio padre nei campi ed i miei fratelli più piccoli a crescere.

Permettimi di andare a casa e lavorare al fianco di mio padre e per la famiglia. Non lascerò la scuola te lo prometto, anzi ti chiedo se puoi aiutami in questo. Il direttore con la voce strozzata dall’emozione promette a Bekele che sarà aiutato ed una volta comunicata la storia ad Abba Marcello, il ragazzo viene lasciato andare al villaggio ove attualmente lavora i campi ed aiuta la sua famiglia, continuando gli studi e sarà aiutato fino all’università perché ha tutte le qualità per raggiungere i suoi obbiettivi.

 

Donare un po’ del proprio tempo a chi ha bisogno.

Prima di iniziare questa esperienza in Africa provavo un po’ di timore, perché non conoscevo quella realtà e quelle persone. Non sapevo cosa aspettarmi, ma ero partita con l’intenzione di aiutare in qualsiasi modo tutti coloro che avevano bisogno del nostro aiuto. Abbiamo visitato popoli che vivono in condizioni estremamente disagiate e abbiamo cercato di aiutarli distribuendo farina, fagioli, sapone e vestiti, ovvero tutto ciò di cui avevano bisogno per un determinato periodo di tempo. I bambini del centro ci hanno pulito il cuore: queste persone sono dotate di una disarmante semplicità che i più “normali” non hanno. Vivono di relazioni, perché è tutto quello che hanno. Chiedono affetto e amicizia, che ricambiano con abbracci, sorrisi, carezze e dandoti la mano. Grazie a loro abbiamo scoperto il valore e la bellezza di condividere i vari momenti della giornata. Quello che abbiamo fatto in due settimane in Etiopia è una “goccia nel mezzo di un oceano. Donare un po’ del proprio tempo a chi ha bisogno, ci ha fatto capire che bisognosi siamo noi, con la sola differenza che le nostre mancanze non sono di natura economica, ma umana.”

Maddalena Mariani