Un sole intramontabile: Soddo

Un sole intramontabile: Soddo
Francesca Mulazzani (2012)

E’ difficile trovare le parole giuste per trasmettere al meglio quello che abbiamo vissuto in quei 10 giorni a Soddo. Proverò a cercarle partendo proprio dalla lingua parlata dagli etiopi: il Wolaytta.

SARO’ – SARO’: ciao – ciao, questo semplicissimo saluto è forse l’insegnamento più grande e profondo che questo paese ci abbia lasciato. L’energia che colmava la povertà delle strade e dei villaggi era quella delle relazioni tra le persone, della spontaneità che bambini e adulti avevano sia nei nostri confronti, gli ospiti, sia in quelli dei loro compaesani.

La vita sociale come dimensione fondamentale dell’uomo e della sua quotidianità. Ciò che forse ha lasciato più di tutti sorpresi è stata proprio questa umanità, così presente nella vita quotidiana che non ha lasciato indifferenti le nostre coscienze, creando in noi la consapevolezza dell’alienazione che invece stiamo vivendo nella società occidentale.

Sbarcati all’aeroporto di Addis Abeba aspettavamo di sentirci noi i “diversi”, invece (parlo almeno per me) per la prima volta ho sentito l’appartenenza a qualcosa di più grande, più vero ed universale, cioè all’Umanità e alla Natura. Mi sono sentita un uomo in mezzo ad altri uomini, ho percepito la coralità che caratterizza l’essere uomini, uguali.

Questa dimensione così umana in mezzo a tanta povertà è stata il fattore determinante del cambiamento che ha segnato tutti noi e che mai ci saremmo aspettati così forte.

Sicuramente ciò che ha reso ancora più significativa questa esperienza è stata la visione o meglio il contatto diretto con una realtà che, nonostante i mille documentari che passano in tv, non finisce mai di stravolgere le aspettative.

La povertà di queste popolazioni accompagnata dalla speranza di miglioramento permette di comprendere che non ci si può porre di fronte a questa situazione col solito “cinismo occidentale”, che spesso ci porta a ritenere colonizzatrice l’azione dei missionari o a pensare che l’”inciviltà” (in riferimento a quella che noi occidentali chiamiamo civiltà) di questi popoli sia naturale. Ero partita con una domanda: non è forse un tipico atteggiamento occidentale quello di voler “portare aiuto” a questi popoli? Non si rischia forse di snaturarli?

Un quesito che durante i dieci giorni di soggiorno ha riempito i pensieri di tutti spingendoci a metterci in discussione tra di noi e in rapporto alla situazione. Alla fine ho provato a trarre una sintesi, grazie anche alle parole del vescovo che abbiamo incontrato (e vi assicuro che è un uomo prima che vescovo) e cioè che il denominatore comune a ogni intervento è l’obiettivo di garantire la dignità umana di ogni individuo e quindi di fornirgli i mezzi essenziali per la sopravvivenza, che vi assicuro non è cosa scontata “laggiù”.

Questo scopo è anche ciò che segna l’azione dei volontari della missione di Abba Marcello (fratello del prof. Signoretti).

Questo deve essere il presupposto fondamentale di ogni azione che proviene dall’esterno e che concretamente deve avere il solo obiettivo di permettere a questi paesi di diventare autonomi, investendo sull’istruzione, la sanità, l’amministrazione interna (vedi carceri, lavoro…), senza perdere di vista le loro tradizioni e la sfasatura nello sviluppo che esiste tra i nostri paesi occidentali e quelli africani.

Vorrei fare qui un appello a tutti, sperando di essere ascoltata. La fame che molte volte è la prima causa di morte di bambini, donne e uomini non è un problema così lontano dal nostro vivere quotidiano. L’inquinamento che il mondo industrializzato ha prodotto è la causa principale del cambiamento climatico, che, se per noi significa due gradi in più o in meno, per l’Africa rappresenta l’assenza di regolarità delle piogge e quindi carestia e quindi morte.

Dal momento che leggerete queste righe, voi siete tutti responsabili della vita di quei bambini:  l’unico mezzo per fare qualcosa è attivarsi nella sensibilizzazione di più persone possibili.

A questo punto, dopo aver tentato di farvi arrivare almeno un pizzico dell’energia che questo viaggio ci ha trasmesso, concludo con un ringraziamento a chi ci ha dato la possibilità di diventare più uomini e meno macchine.

TOSSIMMO ovvero grazie.