Antonia Grasselli
Sono sempre più convinta, dopo più di trent’anni d’insegnamento, che le esperienze formative sono tali se i loro destinatari ne sono protagonisti, soggetti attivi di un percorso che contribuiscono in modo determinate a realizzare, per giungere alla scoperta di qualcosa di nuovo e d’importante per se stessi. Posti in questa condizione, ben preparati e aiutati da adulti consapevoli, i giovani riescono a misurarsi con le realtà che incontrano.
L’apertura naturale del loro cuore, insieme all’autenticità dello sguardo, li porta a coglierne l’essenziale, il punto di verità.
Persuasa di questo, sono andata a Pesaro al Liceo scientifico “G. Marconi” per documentare un progetto di cooperazione internazionale che la scuola sta conducendo ormai da cinque anni, sostenendo la realizzazione di alcune opere intraprese da don Marcello Signoretti – sacerdote pesarese incardinato nella diocesi di Soddo in Etiopia – e per incontrare alcuni studenti che hanno partecipato quest’anno al progetto e al viaggio in Africa, realizzato con il contributo del comune di Pesaro.
Sono stati loro, Monica, Francesca, Filippo, Eva, Filippo Maria, che hanno indicato il valore di questa straordinaria esperienza educativa. Lascio così a loro la parola.
Il viaggio in Africa ha corrisposto alle vostre attese? “ Sono partita per l’Africa pensando che, vivendo in prima persona, avrei avuto una conoscenza diretta della situazione. Ma, arrivata laggiù, mi sono aperta, ho socializzato con tutti, con i bambini sono riuscita a stare bene, ho giocato, mi sono divertita con loro, io che non ho fratelli e non sapevo come comportarmi con i bambini: ho scoperto una nuova parte di me.
E’stata un’esperienza che ti riempie il cuore. Difficile dire tutto quello che ti lascia, anche il senso di serenità che si respira laggiù. Vivono in situazioni veramente pessime, però ti trasmettono serenità e tranquillità. Ho cercato di riportare questo dentro di me, la serenità delle persone e la loro gioia, ho cercato di cambiare le mie priorità: le nostre priorità, rispetto alle loro, sono veramente inutili”. (Francesca)
E’ cambiato qualcosa in voi stessi?
“Pensavo che il dramma fosse arrivare in Etiopia, il dramma invece è stato ritornare in Italia. Sono rimasto colpito positivamente in tutto. Mi sono sentito libero. Mi hanno colpito i bambini, il loro sorriso. I problemi li vivono giorno per giorno, non pensano tanto al futuro. La cosa che mi ha toccato di più è stato il dormitorio dei bambini ciechi, il giocare a calcio con una palla con dei sonagli: non riesco proprio a immaginarmi come ci riescano. Credo di essere cambiato: ero timido, ora sono più socievole, più tranquillo. I problemi li penso con meno ansia. Avendo vissuto questa esperienza, sono consapevole che nel mondo esistono veri problemi. I nostri non dovrebbero neanche essere chiamati così”. (Filippo)
E’ possibile fare un confronto tra mondi così diversi, il nostro e il loro?
“ Quello che io mi sono portato dal viaggio è stato il loro modo diverso di vivere e il pensiero che forse quello che fanno laggiù è una vita migliore della nostra qua. Mi ha colpito tutto quello che è diverso, da come i bambini ciechi giocano a calcio, da come i ciechi fanno i mattoni, ma anche un approccio alla vita tutto diverso, con più vitalità, naturalezza, musicalità. Mi sono quindi chiesto se è giusto proporre un modello di sviluppo come quello occidentale, se loro potrebbero trovare un’altra via al progresso”. (Filippo Maria)
Quali gli aspetti, secondo voi, in cui si manifesta maggiormente la diversità?
“In questo viaggio ho cercato di confrontarmi con questa realtà, così diversa dalla mia. Mi è sembrato di tornare indietro nel tempo, in un mondo senza tecnologie e infrastrutture. Mi sembra di vedere che l’uomo può vivere senza tutte queste cose, che da una parte rovinano la nostra umanità.
Il contatto con la natura, che in Africa è un’esperienza costante e molto forte, è una mancanza grave per la nostra società. Il contatto con la natura ci serve per stare bene. Quando ero lì, mi bastava guardare i colori, in giro gli animali, i coccodrilli al lago, liberi a pochi metri. Suoni, profumi, colori, animali. Mi ha colpito anche il fatto che mi sembra non ci sia un attaccamento morboso alla vita, come abbiamo noi occidentali. Noi abbiamo paura della malattia e della morte. Ho assistito al rito della sepoltura di un ragazzo morto per un incidente. Ho notato naturalezza negli atteggiamenti, è come se lì fosse accettato il ciclo della vita. Mi è sembrato di vivere in un mondo senza le complicazioni, le congetture del nostro, senza quell’importanza all’apparenza, che non è la sostanza della vita”. (Eva)
Riuscite a comunicare in Italia il valore dell’esperienza africana?
“E’ un’esperienza che rimane nel cuore, non solo quella che hai fatto in quei dieci giorni in Africa. Ti trovi in un posto completamente diverso e anche tu sei diverso. Mi sono scoperta una persona completamente diversa: io che sono ansiosa, sapevo gestirmi il mio tempo, essere serena e dare il meglio di me. Per questo vorrei tornare, per migliorare anche me stessa. A me piace raccontare la mia esperienza ai ragazzi della mia età e dire: Cosa stai facendo? Svegliati! Ci sono cose più importanti. A me piacerebbe che, nella gente che ascolta la mia esperienza, cambiasse qualcosa anche in loro, tanto da fargli dire: Anch’io voglio mettermi in gioco. Non è indispensabile andare in Africa, qualcosa si può fare anche in Italia. La sensibilizzazione che abbiamo fatto a scuola con la raccolta fondi e le iniziative per far conoscere questa realtà sono state molto importanti. Abbiamo cercato di far capire che non servono solo per gli africani, ma anche per noi stessi” (Monica)
Iniziato come progetto di solidarietà, d’impegno sociale a favore di popolazioni che vivono nell’arretratezza e nella miseria, il progetto ha mostrato di possedere una finalità ulteriore e di poter raggiungere un obiettivo più elevato e molto più ambizioso. L’impatto con la realtà dell’Africa, inimmaginabile prima dell’incontro diretto e comunque affascinante, e l’esperienza concreta della condivisione hanno destato un’umanità assopita, che è esplosa nell’esperienza della gioia e della libertà. Oggi questi giovani hanno scoperto chi sono e qual è il vero sapore della vita. Col tempo, questa esperienza africana sarà sempre meglio compresa e assimilata, tanto da diventare pietra di paragone per le scelte importanti, nella vita e nel lavoro.