Ai miei amici
Elisa Rossini (2009)
Si parlava dell’esperienza vissuta, delle conclusioni tratte. Ciascuno faceva i conti con la propria coscienza nel silenzio della sala. Chi mi conosce sa che ho la lacrima facile: ma in quell’ora intrisa di battaglie interiori, senza vincitori, né vinti, era difficile persino piangere.
Ci fu detto che sarebbe stato totalmente inutile tentare di raccontare, o meglio, di raccontarci agli altri, una volta tornati a casa. Nessuno avrebbe mai capito veramente.
Io voglio raccontarmi, voglio che le mie parole vi guidino altrove, laggiù a respirare l’aria, aura leggera, invisibile, che ora e per sempre aleggerà attorno a me.
Parlerò, e se uno di voi capirà anche solo un centesimo delle cose che dico, allora saprò di aver apportato un soffio caldo alla gelida bora invernale; per quanto debole, riscalda il vento.
Ed io, soffierò ancora più forte.
Ora provate a immaginarvi seduti su un muretto di pietra, i piedi nel vuoto. Davanti a voi una distesa di terra rossa, dei ragazzi corrono, inseguono un pallone. Ad ogni passo la sabbia si solleva, si formano nell’aria nuvole rosse che salgono, vengono trasportate dal vento…improvvisamente giunge alle vostre narici, agli occhi, brucia la gola.
Chiudete gli occhi e cercate di scacciare con le dita quei granelli; nel farlo vi voltate, scuotete la testa.
Allora vi accorgerete di non essere soli. Siete osservati. Tante paia infinite di occhi neri e lucidi studiano ogni centimetro del vostro corpo. Guardate meglio. Sono bambini sporchi,
qualcuno ha i vestiti strappati, qualcuno troppo grandi su un corpicino così piccolo, altri troppo corti su gambe così lunghe. E voi, siete evidentemente troppo bianchi.
I ragazzi nel campo continuano a passarsi il pallone sotto il sole cocente. Per errore di uno di loro (o per sua volontà?), la palla finisce fra le vostre mani. Vi trovate di fronte ad una scelta. Il tempo incalza, il cuore batte il secondo: riconsegnare la palla al mittente o tenerla stretta e scendere in campo? Io sono scesa. Ho corso con loro fra la polvere, tanto a lungo da confondermi con essa.
Correte con me, ora. Non importa quanto siate alti, belli, forti. In mezzo a loro cessate all’istante di essere individui: perdete la vostra singolarità, entrate a far parte di un’unica natura immobile e perfetta. Una volta dentro, non ne uscite più.
L’uomo riacquista un nome, una dignità; ritrova la sua identità. Continuate a giocare. Si prendono tutto, corpo e anima; a loro volta vi danno tutto. Non pretendono nulla. Credetemi, non si aspettano niente: sono più spaventati di voi.
Il tempo passa e la polvere ha rivestito prepotentemente le vostre figure. Siete irriconoscibili, celate segreti e passioni dietro quello scudo di incerta sfrontatezza, ostentazione di armonia, sicurezza. Finalmente siete dei loro: tutti egualmente sporchi, accalorati, affamati, assetati. Da questo momento qualsiasi abito indossiate o qualunque sia il colore dei vostri capelli, voi sarete considerati per sempre amici, fratelli.
Ho parlato a lungo con questi ragazzi. Mi hanno raccontato la storia di un sole che prosciuga le sorgenti, di un vento che inaridisce la terra; la storia di una pioggia che si abbatte sui raccolti. Narrato i pellegrinaggi di un popolo che cammina, eccome se cammina.
Dio solo sa i chilometri che percorre. Quante cose ho visto attraverso quegli occhi di adulti, in corpi da bambini: le inenarrabili violenze nelle carceri, gli anni trascorsi ai bordi delle strade nella più nera miseria, con la sola certezza della fedeltà di chi è come loro, con la convinzione di valere quanto un tappo di bottiglia in mezzo all’oceano; le piaghe ai piedi nudi, i pidocchi, l’olezzo della povertà e degli escrementi addosso, attorno, ovunque.
Cosa devono aver visto quegli occhi per parlare tanto, senza che la bocca articolasse parola!
Liberatevi di tutto quello che sapete, o che credete di sapere. Vi ritroverete in ogni caso a dover riscrivere un papiro di centinaia di anni di disilluse ambizioni.
Concludo questa lettera con l’immagine di un cielo così terso da permettere alla luce delle stelle di fendere l’atmosfera e posarsi come un manto su di voi, a tingere d’argento quelle notti di sogni, d’amore.
Siamo tutti così uguali, non è retorica, è la consapevolezza di essere parte integrante di un molteplice infinito. Non divino, non umano.
Arde ad ogni passo la terra rossa sotto i miei piedi.
Con affetto
Elisa