Intervista al Prof. Marco Signoretti, responsabile del progetto di gemellaggio con Soddo (Etiopia) del Liceo scientifico “G. Marconi” di Pesaro.
Daniela Renganeschi.
A quando risale l’inizio del vostro coinvolgimento con la realtà missionaria di Don Marcello Signoretti a Soddo in Etiopia? Ce ne può raccontare brevemente la storia?
Abbiamo iniziato nel 2009, in concomitanza con un grande progetto che si voleva realizzare a Soddo, cioè la costruzione di un centro di accoglienza per bambini di strada.
Volevamo fare un gesto di solidarietà e così contribuire alla sua realizzazione. Abbiamo pensato a un progetto d’istituto e non solo di alcune classi. Ci siamo rivolti a tutti gli studenti, alle loro famiglie e ai docenti che hanno condiviso quest’idea. Per preparare e motivare gli studenti, in alcune classi abbiamo iniziato un lavoro di analisi e approfondimento in particolare sul fenomeno dei bambini di strada.
Questa problematica ci ha portato ad affrontare soprattutto il tema dei diritti negati. Questo percorso si è concluso con un incontro con un esperto, padre Alex Zanotelli missionario comboniano, che è stato per anni direttore di “Nigrizia”. La sua è stata una testimonianza, perché ha vissuto per alcuni decenni alla periferia di quella megalopoli dell’Africa che è Nairobi.
I nostri ragazzi sono più coinvolti e attenti quando emerge una vita vissuta dietro alla descrizione di queste situazioni.
Vorrei che ci presentasse Don Marcello Signoretti, perché è grazie al rapporto con lui che è iniziato il progetto. Perché Don Signoretti vive in Africa?
Don Signoretti è mio fratello. Ha avuto una storia molto particolare. All’età di 42 anni si è sposato. Purtroppo dopo due anni ha perso la moglie per una gravissima malattia. È stato un momento veramente difficile e tragico per la sua vita, che è riuscito a superare trovando una grande motivazione e un grande ideale per cui vivere, che gli ha reso di nuovo la vita bella e significativa.
E’ partito come laico per l’Etiopia e per alcuni anni è stato amministratore della diocesi di Soddo (che si trova nella regione del Wolayta, nel sud del paese) e ha seguito un progetto di adozioni a distanza.
All’età di 59 anni si è fatto sacerdote. In questa terra d’Africa, in questa città di Soddo, dove è parroco di tre comunità, si adopera soprattutto per promuovere i diritti sociali delle persone. Si fa carico delle situazioni di emergenza ed ha grandi progetti che realizza con l’aiuto di tantissime persone, soprattutto di Pesaro.
Ha realizzato un acquedotto e un altro progetto è stato questo centro di accoglienza per bambini di strada, dove si dà la possibilità a questi bambini di dormire, mangiare e vivere in un ambiente accogliente e di essere educati. Così pian piano iniziano a frequentare la scuola.
Chi è più grandino e non ha capacità per la scuola, viene inserito in laboratori dove impara un mestiere e viene accompagnato a inserirsi nella città con un lavoro.
Parliamo adesso dell’organizzazione del vostro progetto. Chi è il soggetto promotore e quali altri enti collaborano?
Gli enti che realizzano questo progetto sono il Liceo Scientifico “G. Marconi”, che l’ha promosso e l’assessorato alla cooperazione internazionale del comune di Pesaro, che mette a disposizione risorse e finanziamenti. Era partito come progetto di solidarietà, per aiutare delle persone che vivono in una condizione umana di grande difficoltà. Poi ci siamo resi conto che è un grande progetto educativo. I nostri studenti sono aiutati ad aprirsi al mondo, a conoscere altre culture e una realtà molto diversa dalla propria. Qui la società spinge il progetto aiuta invece i ragazzi a uscire da se stessi per incontrare l’altro e così si sviluppa quella dimensione umana che per me è fondamentale nella crescita di uno studente. Noi pensavamo di essere quelli che vanno dai poveri a dare qualcosa, invece quando i miei studenti ritornano si rendono conto che è molto di più quello che hanno ricevuto da queste persone in umanità, sorrisi, accoglienza, disponibilità, calore umano, per non parlare della bellezza della natura, di quello che hanno portato. Questo da un punto di vista educativo è molto importante, perché l’incontro con l’altro è una grande opportunità di crescita e di soddisfazione personale.
Il comune di Pesaro come è coinvolto nella sua realizzazione del progetto?
Dopo avere iniziato questo progetto, abbiamo sentito l’esigenza di offrire agli studenti la possibilità di vedere e toccare con mano il frutto del loro impegno, divedere l’opera realizzata in modo da rendersi conto che con un minimo impegno nostro si possono salvare delle vite umane e ridare dignità a delle persone. Ma il viaggio è abbastanza oneroso.
Abbiamo così chiesto all’assessorato alla cooperazione internazionale del comune di Pesaro di mettere a disposizione un contributo per il viaggio. L’idea originaria era quella di farne uno solo, ma, dal momento che per i nostri studenti l’esperienza in Africa era stata così importante, abbiamo pensato di riproporlo anno dopo anno.
Quindi sono già quaranta gli studenti che hanno avuto in quattro anni l’opportunità di vivere direttamente questa esperienza in Africa.
Può descrivere il coinvolgimento delle varie componenti della scuola? Quale percorso annuale gli studenti e i docenti fanno prima di partire per l’Africa?
Gli studenti che partecipano al progetto sono una minoranza rispetto agli iscritti della scuola e i docenti sono impegnati in diverse altre attività. Però c’è un ristorno significativo importante per tutta la scuola.
All’inizio dell’anno noi incontriamo tutti i 1300 studenti del nostro istituto in momenti separati, divisi per anno. In quest’occasione, i testimoni che sono andati in Africa l’anno precedente, raccontano ai loro amici l’esperienza che hanno vissuto. Poi nel giornalino d’istituto scrivono le loro riflessioni e i loro commenti. Questo fa da cassa di risonanza.
Tutti gli studenti sono coinvolti poi nelle iniziative di raccolta fondi con gesti semplici e quotidiani.
Io penso che il metodo migliore per attuare un coinvolgimento sia ascoltare la voce di chi ha vissuto questa esperienza. E’ un amico che comunica a un amico quello che ha sperimentato.
C’è quindi un gruppo di studenti più coinvolto. Come si costituisce il gruppo nel corso dell’anno e che percorso fa prima di partire?
Molti vorrebbero venire in Africa, ma noi privilegiamo gli studenti delle quinte, perché maggiorenni. Il gruppo è costituito da una trentina di studenti, di cui dieci partecipano al viaggio in Africa.
Gli incontri di formazione, aperti a tutti, si svolgono parallelamente all’attività didattica, utilizzando, ad esempio, le possibilità offerte dalle assemblee d’istituto, ma anche in altre occasioni.
Quale è la ricaduta di questo progetto sulla città di Pesaro?
Quando ritornano gli studenti dall’Africa, il comune organizza una conferenza stampa giovani a crescere in un individualismo esasperato e in una grande indifferenza. Questo studenti che hanno partecipato in questi anni ai viaggi in Africa) che hanno vissuto un’esperienza significativa e importante, che portano poi, con la loro testimonianza, nei luoghi che frequentano abitualmente.
Tant’è vero che mi arrivano continuamente richieste di partecipazione al progetto, così stiamo pensando di organizzare d’estate per i giovani universitari dei campi di lavoro. Si potrebbe offrire per tre settimane, ad esempio, la possibilità di lavorare a titolo volontario presso questo centro d’accoglienza per bambini di strada.
Per sostenere economicamente le iniziative in Etiopia che tipo di attività svolgete?
In questi anni abbiamo contribuito alla realizzazione di più opere.
Il primo anno ci siamo impegnati a costruire un’aula studio nel centro di accoglienza per i bambini di strada.
Il secondo anno abbiamo incontrato 4000 studenti della scuola pubblica Ligaba School di Soddo. Abbiamo visto che vivono in luoghi veramente fatiscenti. Allora abbiamo chiesto se potevamo in qualche modo contribuire al miglioramento della loro scuola. E loro ci hanno richiesto una piccola biblioteca.
Il terzo anno, invece, abbiamo visitato un centro dove vivono e studiano dei bambini ciechi, una situazione veramente disagiata. Ci siamo così impegnati a contribuire alla realizzazione di un piccolo dormitorio per questi bambini. I fondi li raccogliamo in questo modo: nel periodo natalizio chiediamo agli studenti e alle loro famiglie, ai docenti di dare un’offerta per queste opere. Poi altri fondi li raccogliamo con piccole iniziative realizzate dagli stessi studenti. Alla fine di quest’anno, ad esempio, hanno fatto qui al liceo scientifico una festa di tutti gli studenti medi di Pesaro e hanno organizzato uno stand dove mostrare i video realizzati in Africa e chiedono ai giovani partecipanti un piccolo contributo per il progetto.
Avete seguito anche la strada dell’adozione a distanza?
Noi abbiamo sostenuto in questo modo circa sessanta bambini. Ad esempio siamo andati in un villaggio e qui i nostri studenti hanno incontrato la gente del villaggio con l’aiuto di un’interprete, un villaggio sperduto in un posto meraviglioso, ma proprio “alla fine del mondo”, come dice il Papa. Gli anziani ci dicevano che ci sono molti orfani, perché molte donne muoiono per il parto o per malattia e che gli orfani sono accolti dalle altre famiglie che però hanno già tanti figli.
Ci hanno chiesto un aiuto e noi ci siamo fatti dare i nominativi di questi bambini orfani: erano venticinque. Tornati in Italia i nostri studenti, i parenti dei nostri studenti, gli amici nostri in un mese e mezzo hanno adottato i venticinque i bambini. In questi anni abbiamo seguito con l’adozione a distanza sessanta bambini.
Riuscite a garantire in una scuola la continuità del sostegno a distanza?
Con le classi il primo anno si parte con entusiasmo, ma già l’anno successivo è più faticoso. Questi sessanta bambini sono stati sostenuti solitamente dalle famiglie degli studenti, le famiglie dei ragazzi, ma anche i loro cugini e i parenti, per cui è stato semplice collocare e affidare quest’adozione a delle famiglie pesaresi.
Avete già deciso cosa sostenere il prossimo anno?
Probabilmente ci concentreremo di nuovo sui bambini di strada, perché il problema non è solo l’avvio del centro di accoglienza, ma continuare a sostenere anno per anno questo percorso d’istruzione, di formazione e di reinserimento.