La nuova umanità

Raccontare un fatto, un evento, un’emozione, ciò che insomma ha costituito una determinata esperienza in un dato arco di tempo della nostra vita, spesso è riduttivo, spesso è difficile e spesso fa male.

Con ironia condannerò per sempre la richiesta di questo scritto ma proverò a descrivere tutte le sfumature di Etiopia che i miei sensi hanno impressionato direttamente nel mio cuore come macchina fotografica fa quando scatta una foto.

Dal principio, come per ogni fotografia, porrò luce, una luce, che appena esci dall’aeroporto di Addis Abeba , appare d’essere irradiata da un sole diverso e te ne accorgi nei colori che essa illumina ben definiti e accesi , nell’aria che essa riscalda che sembra avvolgerti e riempire i polmoni in ogni angolo più recondito, un’energia pura che riesce a cullarti nei momenti di ansia e di angoscia, quei momenti in cui manca il respiro e vedi tutto nero, ad essere avulso da quello stesso tutto e ricominciare a sorridere.

Il sorriso infatti è quasi un requisito fondamentale in questi paesi, come da noi lo è “l’homo consumens”, parrà quasi assurdo leggerlo, ma occorrerà forse girarsi fra le capanne fatte di fango, le scuole senza luce e affollate, le lunghe carovane interminabili di fatiche e bestie, per scendere dalla tua jeep, un po’ incriccato dai chilometri di strade disconnesse con la tua inconscia area sgargiante, a tratti prepotente, da occidentale, per attirare una meravigliosa creatura innocente che seppur provata dalla fame e dal lavoro trova quell’energia necessaria per inarcare la sua bocca verso l’infinito.

Dove trovano questa energia? Come fanno? Per cultura? Per interesse? Come già detto tutto va da ricondursi a quell’energia pura sopra citata, un’energia prodotta anche dalla loro, a noi ingiustificata, felicità, un concetto che trova veramente realizzazione in queste persone, perché sono in grado di vivere per questo, non per un lavoro, a loro basta sopravvivere, non per un’aspirazione, a loro basta amare ed essere amati, ma spendere e sacrificare la propria vita credendo , abbracciando , emozionandosi, cooperando, scopi e vere ambizioni che trovano ampia dimostrazione, tristemente, con gioia, in quei funerali, per cui tutto un villaggio si muove per ricordare e stare accanto ad un fratello.

In Etiopia, se parli sincero e con il cuore, di fratelli puoi averne quante sono le stelle, è opportuno quindi fare attenzione a dosare le nostre parole tanto quanto i nostri gesti e espressioni, l’empatia certo non manca, cercare di eluderli con un comportamento che mascheri ciò che sentiamo è pressoché inutile.

Perciò diventa necessario saper parlare con il loro linguaggio, non l’amarico o il wolayta (lingua nazionale e regionale), anche se qualche parola non è difficile impararla, ma senza censure e maschere, in modo che ciò che sia dentro sia anche fuori, e lo si può notare quando loro ti raccontano i propri sogni, sembra un’interpretazione teatrale, non tanto per le professioni ma per la passione con la quale vorrebbero arrivarci “vorrei aiutare le persone del mio paese, in modo che nessuno più soffra”, mi diceva un ragazzo di 16 anni, se poteste sentire il suo tono di voce , o vedere quegli occhi lucidi, il misantropo più accanito potrebbe ricredersi. Un dialogo, quindi, che va oltre la parola, una sinergia fra due interlocutori che stabilisce tutte le premesse per un vero match, dove non vince chi riesce ad affermarsi sull’altro, ma chi pone in dubbio se stesso, Io l’ho fatto.

Non è un processo immediato, perché soggettivo, ma prevalentemente riscontrabile ed occorre saper anche assimilare il contesto africano dentro di noi in modo da iniziare su pari livelli.

Dall’idilliaca bellezza delle azioni comunicative di chi vi troverete davanti nella loro più assoluta semplicità, seguirà un processo di sdoganamento da superflue passioni, certezze e ideologie con le quali abbiamo convissuto così tanto da rappresentare per noi caratteristiche d’identità e individuazione.

Sconosciuto, sarà tutto quello in cui vi riconoscevate, dunque è importante comprendere che nessuno vi ha rubato o allontanato da voi, parti fondamentali della vostra vita, ma solo potati da rami travianti e discordanti con quello che è veramente il tronco della vostra essenza e se vi sentirete vuoti forse lo siete sempre stati.

Devo ammettere che lasceranno ferite da trattare di diversa portata, ma vi daranno una grandissima opportunità per crescere alleggeriti da buona parte dei vostri limiti e con una vista meno ovattata che vi costringerà a rifiutare i ripieghi e le deviazioni su cui vi siete sempre cullati e intossicati per non affrontare la realtà. Non reprimete questo processo, sebbene vi circonderà disperazione “reale” e “giustificata”, non abbiate vergogna di piangere e se lo farete capirete che il dolore non risparmia nessuno, né povero o ricco, bianco o nero ma è una condizione che accomuna la complessità degli individui, i quali agendo trovano opposizione, un ostacolo da superare o accettare per il proseguimento di una scala conflittuale, unico strumento per ammettere sempre più le cose nella loro totalità.

Una scalata eterna, che inizia in Italia fino alla fine del mondo con vette variabili che in africa sembrano toccare il cielo per una paradisiaca atmosfera in cui luminosi astri volteggiano danzanti intorno ai nuovi santi.

Marzo 2018
Alessandro Pio Adimari