Storia di Zakarias Branu

Zakarias Branu, proviene dal villaggio di Bombe, vicino alla cittadina di Araka ubicata nella Regione del Wolayta da una famiglia composta da dieci figli e prima di inserirsi nel Centro “Smiling Children Town” ha vissuto in strada per circa tre anni ed ora sta frequentando la dodicesima classe ed il prossimo anno verrà inserito all’università di Soddo. In strada ha sofferto moltissimo ed ha sempre cercato di sopravvivere con lavoretti di fortuna, ma a stento riusciva a mantenersi. Il suo desiderio è quello di laurearsi in medicina e diventare un dottore. Ha molta volontà e sicuramente ci riuscirà, perché vuole a tutti i costi riscattarsi per aiutare anche la sua famiglia.

Quello che ha soprattutto colpito Abba Marcello ed il direttore del Centro Wondewosen Assefa, sono state le sue testuali parole: voglio diventare dottore, non per fare soldi, ma per andare nei villaggi dove la gente soffre e non ha soldi per curarsi, io li curerò gratuitamente, perché voglio fare del bene al mio popolo per la maggioranza colpito dalla miseria. In Etiopia non entri negli Ospedali se non hai soldi per curarti, avere un posto letto, sottoporsi ad operazioni e acquistare medicine; ma io voglio aiutare la mia gente a curarsi e vivere con dignità. Nell’ascoltarlo si capisce che queste sue parole sono frutto di ragionamenti di un ragazzo ormai maturo, ma soprattutto provenienti dal suo cuore.

Quando un adolescente è così determinato sicuramente realizzerà i suoi sogni.

Storia di Atnafu Bekele

Atnafu Bekeleè un ragazzo “ speciale” che viene dal villaggio di Wacciga nella Regione del Wolayta (Etiopia), da una famiglia di agricoltori  molto povera,  quasi al limite della sopravvivenza. Nella loro capanna costruita con legni, fango e con il tetto di paglia non c’è quasi nulla. I suoi genitori non posseggono neanche gli animali (buoi, pecore e galline) che solitamente servono per fornire il latte, uova e carne.

I suoi genitori e fratelli dormono in terra vestiti (se così si possono chiamare i cenci che indossano) sopra una stuoia e con una sola coperta.

Bekele da bambino si era allontanato da casa nel tentativo di trovare una sua strada per il suo futuro, come fanno tantissimi bambini che fuggono dalla povertà dei villaggi. Voleva andare in città perché altri ragazzi gli avevano detto che li poteva trovare quello che si desidera. Ma per circa due anni aveva sofferto molto, perché era costretto a vivere di espedienti, in particolare: di elemosina, qualche furtarello e un lavoro saltuario come facchino al mercato. Poi aveva conosciuto alcuni ragazzi dello “Smiling Children Town” a Soddo e su loro invito aveva raggiunto il Centro chiedendo di essere aiutato.

Per due anni ha seguito il ciclo educativo, frequentando la scuola con ottimi risultati e come solitamente fanno quasi tutti i ragazzi del Centro nel periodo delle vacanze scolastiche ritornava al suo villaggio per dare una mano ai genitori nel lavoro del loro campi.

Finito il periodo delle vacanze scolastiche (se così si possono chiamare), ritornato al Centro “ Smiling Children Town” si presenta dal direttore sig. Wondewosen Assefa, e sedutosi nel suo ufficio, inizia a piangere e tra un singhiozzo e l’altro gli dice: “Sono stato a casa con i miei genitori, con mio padre e mia madre ed i miei fratelli più piccoli e ho visto la loro situazione, la vita che conducono, quello che hanno da mangiare, dove dormono, dove passano le giornate,  il faticoso lavoro dei campi,  ho visto le loro mani callose,  il corpo magrissimo di mio pare quando insieme facevamo il bagno al fiume, ho visto i seni seccati  di mia madre, ho visto i miei fratelli più piccoli di me vestiti di niente. Io, sono qui in città, al centro e ho tanto: materasso, coperte, lenzuola, vestiti, scarpe, mangio tre volte al giorno, sono curato, vado a scuola, praticamente vivo una vita comoda e ho la possibilità di avere un futuro davanti.

Ma pensare continuamente alle condizioni di vita della mia famiglia mi tormenta ed ho deciso che non posso più stare qui, ma il mio dovere è di tornare in famiglia e aiutare mio padre nei campi ed i miei fratelli più piccoli a crescere.

Permettimi di andare a casa e lavorare al fianco di mio padre e per la famiglia. Non lascerò la scuola te lo prometto, anzi ti chiedo se puoi aiutami in questo. Il direttore con la voce strozzata dall’emozione promette a Bekele che sarà aiutato ed una volta comunicata la storia ad Abba Marcello, il ragazzo viene lasciato andare al villaggio ove attualmente lavora i campi ed aiuta la sua famiglia, continuando gli studi e sarà aiutato fino all’università perché ha tutte le qualità per raggiungere i suoi obbiettivi.

 

Donare un po’ del proprio tempo a chi ha bisogno.

Prima di iniziare questa esperienza in Africa provavo un po’ di timore, perché non conoscevo quella realtà e quelle persone. Non sapevo cosa aspettarmi, ma ero partita con l’intenzione di aiutare in qualsiasi modo tutti coloro che avevano bisogno del nostro aiuto. Abbiamo visitato popoli che vivono in condizioni estremamente disagiate e abbiamo cercato di aiutarli distribuendo farina, fagioli, sapone e vestiti, ovvero tutto ciò di cui avevano bisogno per un determinato periodo di tempo. I bambini del centro ci hanno pulito il cuore: queste persone sono dotate di una disarmante semplicità che i più “normali” non hanno. Vivono di relazioni, perché è tutto quello che hanno. Chiedono affetto e amicizia, che ricambiano con abbracci, sorrisi, carezze e dandoti la mano. Grazie a loro abbiamo scoperto il valore e la bellezza di condividere i vari momenti della giornata. Quello che abbiamo fatto in due settimane in Etiopia è una “goccia nel mezzo di un oceano. Donare un po’ del proprio tempo a chi ha bisogno, ci ha fatto capire che bisognosi siamo noi, con la sola differenza che le nostre mancanze non sono di natura economica, ma umana.”

Maddalena Mariani

Cena di beneficenza Venerdì 7 Giugno 2019 presso il Ristorante “Il Poggio” – Pesaro

Nella serata di Venerdì 7 Giugno 2019presso il Ristorante “Il Poggio” ubicato in Strada Micaloro n.1 Pesaro, si è tenuta l’abituale cena di beneficenza per dare un sostegno ai diversi progetti che Abba Marcello sta portando avanti in Etiopia, soprattutto nella Regione del Wolayta.

All’ iniziativa, che come di consuetudine si svolge nel periodo estivo era presente anche lo stesso Abba Marcello, tornato per un breve soggiorno in Italia per incontrare e ringraziare personalmente tutti i suoi sostenitori e amici che come sempre sono numerosi in queste occasioni di incontro.  Infatti, ben 250 persone hanno partecipato alla cena, il cui ricavato servirà proprio per dare un sostegno ai vari progetti umanitari, nonché  al Centro “Smiling Children Town” di Soddo dove circa 130 ragazzi, affrontano un percorso scolastico. Alla serata hanno partecipato per un saluto anche il rieletto sindaco di Pesaro Matteo Ricci ed il neo eletto Presidente della Onlus “Villaggio dei Ragazzi Sorridenti” Claudio Giavoli, che ha voluto porgere un ringraziamento a tutti i partecipanti per il loro continuo sostegno alla Onlus, attraverso donazioni libere, adozioni ed anche divulgazioni delle loro esperienze dirette, come hanno fatto alcuni giovani che con molto entusiasmo hanno svolto volontariato in Etiopia.

 

 

Quello che rimane

Sono tornata dall’Africa ormai più di due settimane fa e, nonostante i giorni e le ore pieni di impegni, appuntamenti, compiti da consegnare e verifiche da svolgere, non è passato un singolo giorno in cui non mi sia fermata a pensare di nuovo a quei posti, a quella gente e a tutti i ricordi che ne sono legati.

Incredibile vero? Chi avrebbe mai pensato ad un effetto così viscerale dopo solo 15 giorni passati lì?

In realtà è nato tutto un po’ per caso, di fretta, senza troppe aspettative ma- si sa- le cose inaspettate sono sempre le migliori. Così sono partita insieme alle altre compagne di viaggio per quella che sarebbe stata, senza dubbio, una delle esperienze più belle della mia vita.

La differenza dall’Italia all’Etiopia la senti subito, non appena varchi la soglia dell’uscita dell’aeroporto di Addis Abeba: gli odori esotici e umidi, il caldo pesante e inebriante, i colori vivaci e pungenti che adornano l’Africa e che ci hanno accompagnato per tutti quei giorni trascorsi. Dopo un giorno intero di viaggio, tra strade scoscese, polvere e saluti dei passanti, arrivammo a Sodo, la cittadina in cui si trovava il nostro centro, Smiling Children Town.

Premetto che non starò ad elencare tutto quello che abbiamo fatto e tutte le cose vissute, sia perché non mi basterebbe un libro intero, sia perché certi ricordi vanno custoditi gelosamente affinché continuino ad avere il loro sapore nostalgico; quindi mi limiterò a scrivere quello che a primo impatto ho scoperto stando in quei posti e vivendoli pienamente, secondo per secondo.

Sicuramente la cosa con cui devi fare i conti appena atterri in Etiopia è il concetto di tempo.

Eh sì, perché per qualche strana ragione il tempo in Africa scorre più lento, si dilata, segue il volere del sole, senza perdersi nella fretta e nel continuo ritardo che attanaglia l’Occidente. Così ti accorgi improvvisamente che, almeno qui, c’è tempo per respirare, per riflettere, pensare, pregare o fare tutte quelle cose che, ammettiamolo, a casa risulterebbero una perdita di tempo. Insomma, chi è che si ferma a riflettere sulla vita al giorno d’oggi, quando ci sono treni da prendere, centinaia di documenti da compilare e migliaia di appuntamenti da incastrare in una sola giornata?

Un altro punto che mi ha toccato particolarmente è la loro profonda Fede. È assurdo come questo popolo porti dentro di se tanta nostalgia e malinconia, mescolate ad una gioia inspiegabile e contagiosa. Tutti cantano, ballano, sorridono e ringraziano Dio per tutto quello che hanno che, credetemi, è veramente poco. Fanno ore ed ore di cammino, magari scalzi e con lo stomaco vuoto, per partecipare alla Messa della domenica, quando noi invece non abbiamo voglia nemmeno di prendere l’auto e guidare per dieci minuti, perché preferiamo dormire fino a tardi, piuttosto che sorbirci l’omelia di qualche parroco che crediamo noioso.

E poi chi se ne frega di Dio quando hai già una casa, soldi, vizi, feste, macchine e gioielli?

Noi occidentali se siamo felici e fortunati diciamo che è tutto merito nostro, mentre se qualcosa va per il verso sbagliato è colpa di Dio. Insomma, noi ci ricordiamo di lui o quando siamo incazzati, o quando vogliamo qualcosa. È un po’ come se fosse un supermercato dove andare a prendere qualche provvista, così non appena tutto quello che abbiamo non ci sembra abbastanza, iniziamo a chiedere e avanzare richieste. Ovviamente pretendendo che lui provveda, altrimenti che razza di Dio sarebbe?

Ecco invece quello che mi commuove di più delle genti dell’Africa è vedere la loro Fede incondizionata, sincera e umile in una divinità in cui credono nonostante le numerose difficoltà e sfide che la vita pone loro di fronte ogni giorno.

Un’ ultima cosa che ricordo con molta nostalgia è la bellezza che ti pervade mentre sei in Africa. Sarà il sole, saranno gli occhi dei bambini, il sapore del mango maturo o della natura sterminata che ci circonda, ma lì eravamo tutte belle. Belle anche con la fronte bagnata per il caldo, con i vestiti non perfettamente stirati, coi calzini sotto le infradito, i capelli scompigliati, le unghie senza smalto e le guance arrossate per via del sole. Non avevamo bisogno di trucchi, ombretti, correttori, piastre o filtri di Instagram per scattare foto perfette: era l’Africa stessa a renderci migliori, sia dentro che fuori.

Insomma, l’Etiopia è stata per me l’occasione per squarciare il Velo di Maya, per dirlo con le parole di Schopenhauer, ossia il tentativo di vedere il mondo, il passato e il futuro sotto un altro punto di vita, spogliato dei pregiudizi, delle categorie e degli standard che il mondo moderno ci impone. E se l’obiettivo del filosofo di Danzica era di raggiungere l’ascesi o il nirvana, a me basta aver ottenuto la consapevolezza che c’è e ci sarà sempre una buona ragione per fermarsi, respirare, guardare il cielo e sorridere, per poi riprendere a camminare.

Eleonora Dela’    5°C Liceo Linguistico Mamiani, Pesaro.

9 Ottobre 2018 – Teatro Sperimentale di Pesaro – Presentazione libro “ ETIOPIA, UNA TERRA DAI MILLE VOLTI”

Il giorno 9 Ottobre 2018, alle ore 10.30 presso il Teatro Sperimentale di Pesaro, Via Rossini, alla presenza di numerosi studenti, dirigenti scolastici, autorità civili, militari e religiose, sarà presentato il libro “ ETIOPIA, UNA TERRA DAI MILLE VOLTI”, curato dal Prof. Marco Signoretti e realizzato dagli studenti del Liceo scientifico e musicale “Marconi” , Liceo Classico “Mamiani” e dal Liceo Artistico “Mengaroni”.

Il libro contiene moltissime testimonianze e foto degli studenti che nei vari anni si sono recati in Etiopia nell’ambito del “Progetto Etiopia”, in cui i suindicati licei pesaresi hanno raccolto fondi, con i quali è stata allestita un’aula informatica al “Centro di accoglienza per bambini di strada” a Soddo (Wolayta), realizzato grazie all’opera di Abba Marcello al fine di togliere i bambini etiopi dalla strada e sostenuto dalla Onlus ”Villaggio Dei Ragazzi Sorridenti” con sede a Candelara di Pesaro.
“Fuori dai tuoi abiti forestieri fratello
Sentiti parte del grande capolavoro
Cammina nella gioia, cammina nel ritmo, cammina eretto
Cammina libero, cammina nudo
Lascia che le radici della tua madre terra ti carezzino il corpo
Lascia che la pelle nuda assorba il sole di casa e brilli d’ebano”.
Tsegaye Gabre Medhin – poeta etiope

Abba Marcello, ringrazia i numerosi pesaresi che hanno risposto al suo appello, permettendogli di aiutare la gente di Hobiccia Bantu e Abaya Bilate.

Nella nuova lettera inviata da Abba Marcello, viene specificato che le zone maggiormente alluvionate sono quelle di Hobiccia Bantu (30 km da Soddo) e Abaya Bilate (60 km da Soddo).
La gente delle zone alluvionate è ancora fuori casa e purtroppo ci vorrà ancora tempo prima che la situazione torni alla normalità.

“Le Autorità del Kebele (governo locale) hanno presentato al Vicariato di Soddo, la richiesta di aiuto per 680 famiglie disastrate, ma per il momento sono riusciti ad aiutare circa 300 famiglie (poco meno di 1.600 persone). Ovviamente, gli aiuti sono stati documentati con foto, firme, elenchi dei capi famiglia e l’ammontare dell’aiuto dato a ciascuna famiglia. Anche le stesse Autorità locali hanno inviato lettere di ringraziamento per l’aiuto ricevuto.

Lo stesso Abba Marcello, è rimasto molto colpito dalle reazioni della gente aiutata, che piangendo dalla gioia e alzando le mani verso il cielo in segno di ringraziamento a Dio ed ai soccorritori che erano andati in loro aiuto……. Era come se recitavano una litania, dicendo: <Gesù è disceso di nuovo sulla terra> e ripetendo: .

“Sentitevi orgogliosi del bene fatto e ringraziate Gesù per avervi dotato di questa bontà e squisita sensibilità alle necessità dei fratelli. Anche questo è un suo dono.”
Nella proseguo della lettera Abba Marcello, afferma inoltre che la zona di “Abaya Bilate”, non è ancora facilmente raggiungibile a causa di “grosse pietre disseminate lungo il percorso ed anche con strade interrotte” e dove gli abitanti hanno perduto tanti animali (mucche, buoi, pecore, galline, muli, ecc..), necessari al loro sostentamento.
Infine, afferma che sarà sua cura inviare ulteriore documentazione sulle zone colpite da queste alluvioni, ove continuano tuttora i disagi.

Soddo 11 Luglio 2018

ETIOPIA: ALLUVIONI E FRANE COLPISCONO IL SUD DEL PAESE CON ALMENO 50 MORTI

Almeno 50 persone in Etiopia sono state uccise da frane e alluvioni causate da forti piogge; lo riporta un’agenzia di stampa etiope. Le intense precipitazioni sono seguite a una delle peggiori siccità degli ultimi 50 anni, aggravata dal fenomeno climatico El Nino.

Amministratori locali del distretto meridionale di Wolaita hanno riportato la morte di 41 persone a causa di grandi frane verificatesi lunedì scorso. Altre 9 persone sono annegate in alluvioni che hanno colpito la regione sud-orientale di Bale, uccidendo anche centinaia di bovini. Le inondazioni di Bale hanno spazzato via anche 559 ettari di terreni agricoli, con pesanti ripercussioni per l’economia locale.

Gli interventi di soccorso, ha dichiarato il commissario di polizia Alemayehu Mamo, sono al momento ostacolati da smottamenti che hanno colpito strade e ponti necessari per raggiungere le zone alluvionate.

Governo e agenzie umanitarie hanno organizzato la raccolta internazionale di un fondo pari a 1.4 miliardi di dollari per aiutare le persone rimaste senza acqua e cibo.


Lettera di Padre Marcello Signoretti, missionario pesarese in Etiopia.

Scrivo questa lettera a tutti gli amici che possono aiutare la popolazione etiope, perché, quando ci si trova in gravi difficoltà e grandi necessità’, non si sa a chi altro rivolgersi se non a coloro che possono capire la tua difficoltà, i momenti e le situazioni che ti turbano profondamente.

Vi spiego subito di cosa sto parlando e che cosa sta succedendo attualmente nelle zone centrali dell’Etiopia, ove di per sé la vita è difficile tutto l’anno.

Siamo attualmente nel pieno del periodo delle grandi piogge ed attualmente avvengono in modo forte e persistenti ed in molte zone i villaggi sono stati letteralmente spazzati via da vere e proprie bombe d’acqua, che non si verificavano da anni.

Sono andato personalmente a visitare i villaggi colpiti nella zona di Hobiccia Badda nella regione del Wolayta.

Tutto sommerso, case, prodotti agricoli, animali, alcune zone diventate dei laghi, ho visto una situazione veramente disastrosa con decine di morti.

Gente ammassata (interi nuclei famigliari) sotto le tende del governo, senza cibo, senza vestiti, molti ammalati, soprattutto bambini (data la stagione).

I loro occhi sbarrati e pieni di lacrime trasmettevano tanti sentimenti insieme: rassegnazione, impotenza e disperazione.

Una marea di gente si é avvicinata a me circondandomi: si sono tutti inginocchiati per terra davanti a me, supplicandomi di non abbandonarli.

Si tratta di circa 1000 famiglie (con tanti figli), tante vedove, e tantissimi poveri, nulla tenenti.

Sto cercando di aiutarli, per quel poco che posso fare, tanto da tamponare l’emergenza e dare loro un pò di cibo (granoturco e fagioli). In attesa di eventuali aiuti del governo, ma se ci saranno, non sicuramente a breve.

Per far fronte alla emergenza ho anticipato somme di denaro che erano destinate ad altri progetti che stavo portando avanti in favore dei bambini e bambine, nei loro percorsi di studio.

Chiedo gentilmente alle persone sensibili alla solidarietà’, di poterci dare un aiuto per tamponare questo disastro umanitario che improvvisamente a colpito molti villaggi dell’Etiopia centrale.

Anche con pochissimo aiuto in queste zone si possono fare miracoli. La gente etiope è forte e molto orgogliosa, ma in questa emergenza sono veramente inermi di fronte alla violenza della natura.

Questa gente non potrà darvi nulla in cambio se non levare le proprie braccia al cielo ringraziando Dio per la vostra generosità e per l’improvvisa e inaspettata sua provvidenza. Ed é questo l’unico regalo che possono darvi in cambio.

Come sempre, infinitamente grato.

Soddo (Etiopia), li 13 Giugno 2018

Padre Marcello Signoretti

Sentire il bisogno di tornare in Etiopia

Tutti i viaggi hanno un inizio ed una fine. Tutti ad eccezione di uno. Sto parlando del viaggio verso l’Etiopia.

Questo viaggio ha un inizio ma non una fine, perché le esperienze vissute modificano il tuo modo di vedere e percepire le cose e quindi il tuo modo di essere.

L’inizio è diverso dai soliti, non avviene nel momento della partenza ma nel esatto momento in cui decidi di partire, da quel momento in poi tutto cambia e la tua “avventura” non finirà mai.

Il mio viaggio è iniziato a Febbraio di quest’anno, da quel momento in poi ho cominciato a fantasticare su tutto.

Il giorno mi concentravo sulle solite cose, ma la sera pensavo a come potesse essere lì, a come potessero essere le persone e riflettevo sulle ragioni che mi hanno spinta a prendere la decisione di partire.

Sicuramente ci sono ragioni più “banali” come ad esempio il fatto che mi piace viaggiare e che quindi sarei riuscita a vedere un posto nuovo, lontano e magico.
Magico perché ho visto persone che una volta tornate avevano occhi nuovi, occhi che brillavano quando raccontavano quello che avevano visto, ho visto persone che sono cambiate quasi radicalmente e sto parlando di un cambiamento in positivo che volevo vivere in prima persona. Accanto a queste motivazioni comuni ci sono quelle che, se vogliamo, possiamo definire più profonde e personali, come il desiderio di voler trovare fiducia nei rapporti umani.

Fiducia, una bellissima parola che ha un significato stupendo ma è molto difficile da dare.

Soprattutto se si è timidi e molto riservati, tutte caratteristiche che non rendono semplice la formazione di legami e quindi la fiducia rimane una cosa “concessa” a pochi intimi.

Così con le mie insicurezze e tanta voglia di partire il mio viaggio a Soddo nel “villaggio dei bambini sorridenti” ebbe inizio. In quel villaggio in soli 10 giorni ho conosciuto persone che mi hanno dato molto di più rispetto ad anni di conoscenza con altre. In quei 10 giorni ho vissuto essendo me stessa vivendo ogni singolo attimo senza scudi, facendo e dicendo quello che mi passava per la testa.

In quei 10 giorni ho imparato a non dare niente per scontato, neanche il più piccolo gesto che può essere un sorriso, un abbraccio, camminare tenendosi per mano o regalare una semplice caramella. L’ho imparato grazie ai bambini di strada, che con occhi incuriositi e non spaventati dalla mia pelle chiara mi guardavo attentamente, chiedevano qualcosa, qualsiasi cosa anche la più semplice come una foto, un sorriso o una caramella e loro in cambio ti riempivano il cuore di sorrisi e saluti, come se quella potesse essere la cosa più preziosa che potevi dargli.

L’ho imparato grazie ai bambini del centro che non perdevano mai l’occasione di giocare insieme, solo per il gusto di divertirsi in compagnia.

In quei 10 giorni ho imparato non solo ad apprezzare anche i più piccoli gesti ma anche quello che ho senza darlo più per scontato, ho preso ancora più consapevolezza del fatto che nella vita bisogna lavorare ed impegnarsi duramente per ottenere ciò che si vuole. E

questo mio passo avanti lo devo ai ragazzi del centro che alle 2 di notte stavano ancora studiando per l’esame di pochi giorni dopo, l’ho appresso grazie ai bambini delle scuole che abbiamo visitato, che pur di imparare studiavano tutti ammassati in un’aula piccola e buia, seduti sui dei tubi di ferro e senza banchi, scrivendo sulle ginocchia. In quei 10 giorni ho imparato tanto, ho pianto, ho riso, sono stata sommersa da immagini, profumi, emozioni, ho conosciuto persone fantastiche, ho goduto di panorami mozzafiato ma allo stesso tempo ho vissuto tutto con una tranquillità mai provata in vita mia.

Ed il tempo è volato. Troppo velocemente. E come un battito di ciglia mi sono ritrovata catapultata nella realtà di sempre.
Ma questa volta c’era qualcosa di diverso e quel qualcosa ero io. Ero diversa e sono diversa perché in me c’è una spaccatura. Una divisione tra corpo ed anima, il corpo continua qui la sua vita di tutti i giorni. L’anima si nutre in modo vorace ed insaziabile dei flashback. Grazie ad essi riesco a rivivere continuamente tutto ed a ricordarlo perfettamente.

Ancora più importanti ed essenziali dei flashback sono le notti, perché sono il momento perfetto per poter tornare in Etiopia, a Soddo, nel villaggio e nutrirsi nuovamente della linfa vitale che solo lì c’è.
Adesso, dopo aver vissuto una cosa del genere, posso dire con certezza che io ho bisogno di tornare, per me stessa, per i bambini e per tutto ciò che c’è.

Marzo 2018
Maria Rita Abatino

La nuova umanità

Raccontare un fatto, un evento, un’emozione, ciò che insomma ha costituito una determinata esperienza in un dato arco di tempo della nostra vita, spesso è riduttivo, spesso è difficile e spesso fa male.

Con ironia condannerò per sempre la richiesta di questo scritto ma proverò a descrivere tutte le sfumature di Etiopia che i miei sensi hanno impressionato direttamente nel mio cuore come macchina fotografica fa quando scatta una foto.

Dal principio, come per ogni fotografia, porrò luce, una luce, che appena esci dall’aeroporto di Addis Abeba , appare d’essere irradiata da un sole diverso e te ne accorgi nei colori che essa illumina ben definiti e accesi , nell’aria che essa riscalda che sembra avvolgerti e riempire i polmoni in ogni angolo più recondito, un’energia pura che riesce a cullarti nei momenti di ansia e di angoscia, quei momenti in cui manca il respiro e vedi tutto nero, ad essere avulso da quello stesso tutto e ricominciare a sorridere.

Il sorriso infatti è quasi un requisito fondamentale in questi paesi, come da noi lo è “l’homo consumens”, parrà quasi assurdo leggerlo, ma occorrerà forse girarsi fra le capanne fatte di fango, le scuole senza luce e affollate, le lunghe carovane interminabili di fatiche e bestie, per scendere dalla tua jeep, un po’ incriccato dai chilometri di strade disconnesse con la tua inconscia area sgargiante, a tratti prepotente, da occidentale, per attirare una meravigliosa creatura innocente che seppur provata dalla fame e dal lavoro trova quell’energia necessaria per inarcare la sua bocca verso l’infinito.

Dove trovano questa energia? Come fanno? Per cultura? Per interesse? Come già detto tutto va da ricondursi a quell’energia pura sopra citata, un’energia prodotta anche dalla loro, a noi ingiustificata, felicità, un concetto che trova veramente realizzazione in queste persone, perché sono in grado di vivere per questo, non per un lavoro, a loro basta sopravvivere, non per un’aspirazione, a loro basta amare ed essere amati, ma spendere e sacrificare la propria vita credendo , abbracciando , emozionandosi, cooperando, scopi e vere ambizioni che trovano ampia dimostrazione, tristemente, con gioia, in quei funerali, per cui tutto un villaggio si muove per ricordare e stare accanto ad un fratello.

In Etiopia, se parli sincero e con il cuore, di fratelli puoi averne quante sono le stelle, è opportuno quindi fare attenzione a dosare le nostre parole tanto quanto i nostri gesti e espressioni, l’empatia certo non manca, cercare di eluderli con un comportamento che mascheri ciò che sentiamo è pressoché inutile.

Perciò diventa necessario saper parlare con il loro linguaggio, non l’amarico o il wolayta (lingua nazionale e regionale), anche se qualche parola non è difficile impararla, ma senza censure e maschere, in modo che ciò che sia dentro sia anche fuori, e lo si può notare quando loro ti raccontano i propri sogni, sembra un’interpretazione teatrale, non tanto per le professioni ma per la passione con la quale vorrebbero arrivarci “vorrei aiutare le persone del mio paese, in modo che nessuno più soffra”, mi diceva un ragazzo di 16 anni, se poteste sentire il suo tono di voce , o vedere quegli occhi lucidi, il misantropo più accanito potrebbe ricredersi. Un dialogo, quindi, che va oltre la parola, una sinergia fra due interlocutori che stabilisce tutte le premesse per un vero match, dove non vince chi riesce ad affermarsi sull’altro, ma chi pone in dubbio se stesso, Io l’ho fatto.

Non è un processo immediato, perché soggettivo, ma prevalentemente riscontrabile ed occorre saper anche assimilare il contesto africano dentro di noi in modo da iniziare su pari livelli.

Dall’idilliaca bellezza delle azioni comunicative di chi vi troverete davanti nella loro più assoluta semplicità, seguirà un processo di sdoganamento da superflue passioni, certezze e ideologie con le quali abbiamo convissuto così tanto da rappresentare per noi caratteristiche d’identità e individuazione.

Sconosciuto, sarà tutto quello in cui vi riconoscevate, dunque è importante comprendere che nessuno vi ha rubato o allontanato da voi, parti fondamentali della vostra vita, ma solo potati da rami travianti e discordanti con quello che è veramente il tronco della vostra essenza e se vi sentirete vuoti forse lo siete sempre stati.

Devo ammettere che lasceranno ferite da trattare di diversa portata, ma vi daranno una grandissima opportunità per crescere alleggeriti da buona parte dei vostri limiti e con una vista meno ovattata che vi costringerà a rifiutare i ripieghi e le deviazioni su cui vi siete sempre cullati e intossicati per non affrontare la realtà. Non reprimete questo processo, sebbene vi circonderà disperazione “reale” e “giustificata”, non abbiate vergogna di piangere e se lo farete capirete che il dolore non risparmia nessuno, né povero o ricco, bianco o nero ma è una condizione che accomuna la complessità degli individui, i quali agendo trovano opposizione, un ostacolo da superare o accettare per il proseguimento di una scala conflittuale, unico strumento per ammettere sempre più le cose nella loro totalità.

Una scalata eterna, che inizia in Italia fino alla fine del mondo con vette variabili che in africa sembrano toccare il cielo per una paradisiaca atmosfera in cui luminosi astri volteggiano danzanti intorno ai nuovi santi.

Marzo 2018
Alessandro Pio Adimari